Tira un vento salutista a New York, la metropoli che si reinventa di continuo. E non poteva essere altrimenti visto il messaggio green e healthy esternato da lady Obama. I vari fast food come McDonald’s e Burger King hanno lasciato posto alla nuova moda dello slow food con prodotti freschi e biologici che coniugano il verbo d’uso corrente, to be sustainable.
E se, fino a pochi anni fa, il centro nevralgico era rappresentato da Manhattan, oggi è il quartiere di Williamsburg a Brooklyn, a dettare i canoni della New York che conta. Hippy e immigrati sono stati scavalcati da giovani manager di buona famiglia, facoltosi europei che investono nel mercato immobiliare, d’artisti e scrittori sponsorizzati dal “trust fund” familiare.
Oltre al nuovo parco comunale sorto tra la Kent Avenue e North 6th Street, novità assoluta per Williamsburg è il mercato, simbolo della nuova filosofia di Brooklyn, che associa qualità e zero impatto ambientale. Ogni “evento” di Smorgasburg – aperto al pubblico tutti i sabati e le domeniche al Waterfront Part di Williamsburg – ottiene uno straordinario successo, soprattutto dall’incontro tra produttori local d’alimenti biologici e alcuni dei più grandi chef della città.
Curatore e promotore del nuovo “mercato delle pulci di Brooklyn”, è Eric Demby, che descrive l’esperimento come “un incubatore per imprenditori sconosciuti e all’avanguardia che vogliono far conoscere i loro progetti: portiamo all’attenzione del grande pubblico i piccoli artigiani locali”. E il New York Times si è affrettato a definirlo: “Una delle più grandi esperienze urbane di questa città”.
Ex direttore della Marty Markowitz’s Communications, speechwriter e giornalista, Demby è il co-fondatore della Brooklyn Flea e “cervello” culinario di tutti gli eventi gastronomici di Smorgasburg; nell’allestimento degli stand alimentari, cura personalmente prodotti e fornitori (“anche se abbiamo 1300 fornitori registrati, sono incredibilmente selettivo”), come quasi tutte le attività del più grande mercato pubblico di New York City, dove, tra l’altro, non può mancare la presenza d’organizzazioni “impegnate”, vedi “Food Coalition” e l’italiana “Slow Food”.
E, a proposito d’italianità, nel cuore della “Grande Mela”, insieme all’esplosione dei “farmers market“, mercatini di frutta e verdure biologiche rigorosamente locali, è il buon mangiare italiano a imporsi attraverso l’importazione dei prodotti tipici del nostro paese, sapientemente cucinati da grandi chef. Fra i più ambiziosi megastore della ristorazione italiana, c’è Eataly, inaugurato lo scorso anno dall’imprenditore piemontese Oscar Farinetti, in collaborazione con Mario Batali, Lidia Bastianich e il figlio Joseph. Un complesso costato 25 milioni di dollari che ha fruttato 400 nuovi posti di lavoro.
Tra la Fifth Avenue e la 23rd Street, di fronte al Flatiron Building, Eataly occupa una superficie di 5000 metri quadrati, con diversi ristoranti, una bisteccheria chiamata “Manzo”, una pizzeria napoletana con due forni a legna, una birreria aperta tutto l’anno in cima di quello che fu il “Toy Building”; per non parlare della scuola di cucina per ” beginners”, shopping di prodotti originali provenienti da tutte le regioni italiane (non mancano gli accessori da cucina) e un punto vendita della libreria Rizzoli.