Per abbattere il mostro della crisi globale ci vuole un’arma pesante, un “big bazooka“. “I leader dell’Unione europea devono agire rapidamente e in modo adeguato prima che accada l’irreparabile perché è rimasto poco tempo e l’eurozona rappresenta la principale causa di incertezza e di sfiducia per i mercati internazionali”. Così parlò David Cameron, primo ministro britannico, in un’intervista concessa al Financial Times il 9 ottobre 2011 intervenendo senza infingimenti nel dibattito pubblico per mettere in guardia e spronare i suoi colleghi del Vecchio Continente.
L’opinione del capo dei Tories, espressa in precedenza in maniera chiara davanti ai delegati di Manchester del suo partito, è che il mondo deve fronteggiare una replica della crisi del 2008 quando il sistema finanziario si trovò sul punto del tracollo. “Stavolta i rischi della situazione sono ingigantiti e la posta in gioco è molto più alta”. L’eurozona rischia di restare travolta e in caso di fallimento le conseguenze per la comunità internazionale, e più in particolare per la Gran Bretagna che ha il 40% di esportazioni verso l’area economica retta dalla moneta unica europea, potrebbero essere di gran lunga più destabilizzanti.
Dato il momento Cameron, al pari di Barack Hussein Obama, condivide l’esigenza di dare una scossa ai leader dell’Eurozona in vista del summit del G20 a Cannes il 4 novembre.
Il rimedio all’ordine sempre più precario determinatosi è stabilizzare le banche e alzare un muro di protezione contro gli effetti di un default della Grecia e la precipitazione del rischio sovrano (debito pubblico) di paesi come la Spagna e l’Italia. Francia e Germania devono mettere da parte le differenze e procedere senza indugio al rafforzamento del Fondo europeo per la stabilità finanziaria dotandolo delle risorse necessarie al salvataggio delle economie degli Stati membri in difficoltà.
Tuttavia, le critiche di Cameron alla leadership Ue non comportano alcun impegno finanziario della Gran Bretagna. Anzi, il premier conservatore ribadisce la sua contrarietà all’inclusione nell’eurozona – gli inglesi hanno ottenuto una clausola di opting out dall’euro – anche dopo il 2013 ecludendo contemporaneamente qualsiasi forma di straordinaria partecipazione o sostegno al bail-out.
Ancora, il capo del governo britannico esprime preoccupazione riguardo a un eventuale coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti, di cui il Regno Unito è azionista insieme agli 26 Stati membri, nella ricapitalizzazione degli istituti finanziari. A parte il contributo erogato attraverso il Fondo monetario internazionale la Gran Bretagna non pare intenzionata ad esporsi con altri capitali.