Il premio Nobel 1998 per l’economia, l’indiano Amartya Sen, è diventato un leader e un punto di riferimento, oltre che un portabandiera che ha osato immaginare (e studiare) una concreta alternativa al neoliberalismo, all’impoverimento delle risorse a beneficio di pochi e a danno di molti.
E’ stato lui l’ideatore (insieme al collega pakistano, Mahbub ul Haq e per conto delle Nazioni Unite) di un nuovo misuratore del prodotto interno lordo, che quantifica “la ricchezza delle nazioni” – secondo l’asserto di Adam Smith – non sul denaro e le attività produttive, ma su ben altri parametri: indice d’alfabetizzazione, livello di democrazia, il grado di scolarizzazione, libertà d’accesso ai mezzi d’informazione, assistenza sanitaria e, in generale, l’espansione del benessere. L’acronimo è Hdi, indicatore di sviluppo umano, che subentra al Pil, emblema di un’economia di mercato, a tal punto obsoleta da poter essere superata in termini di qualità piuttosto che di quantità.
A più riprese presente in Italia (indicativo il suo appassionato intervento al meeting dell’Economia tenuto a Trento nel giugno scorso), è l’ispiratore della “finanza etica”, di uno sviluppo che non coincide più con l’aumento del profitto e del reddito, ma si attesta su concetti legati a giustizia e “qualità della vita“. Nessun pregiudizio, né buonismo di facciata, l’analisi di Sen è autorevole e rivoluzionaria, al di là della “potente retorica dell’uguaglianza” e del modello (anacronistico) per un welfare economics, concepito esclusivamente sul benessere materiale.
Per Sen, gli individui non sono tutti uguali ma detentori di un’eterogeneità (inequality) e dunque l’ambizioso progetto egualitario si scontra “in presenza di una robusta dose di preesistente disuguaglianza”, un divario tra un individuo e un altro che trae origine da variabili focali, come felicità, reddito, ricchezza. Interrogarsi sull’uguaglianza significa rivolgersi a quegli aspetti peculiari della vita che dovrebbero essere costanti.
Il benessere delle società è altresì una questione di giustizia; un assioma che non può essere scisso anche in tempi di crisi, quando la finanza va a rotoli e le borse precipitano: “Non possiamo accettare soluzioni che per motivi di bilancio, per salvare il vecchio ordine, impongano nuove ingiustizie…”.
Le buone politiche economiche a sostegno della ripresa saranno quindi valutate se riusciranno a rinsaldare quelle condizioni di libertà democratiche, essenziali per un’autentica “qualità della vita”.
Considerare, in fin dei conti, la crisi come un’opportunità, un doloroso processo per sanare l’economia e le società, con la possibilità d’apportare quelle modifiche a lungo termine che possano aiutarci a migliorare le nostre vite. Con una più ampia visuale, s’intende.