Il libro scritto dal giornalista del New York Times, Andrew Ross Sorkin, “Too big to Fail“, è diventato un film tv che racconta la caduta della banca d’affari, con William Hurt, Paul Giamatti e Bill Pullman. Una docu-fiction che citerebbe i thriller finanziari di Paul Emil Erdman, tanto in voga negli anni ’80, se la storia, con i suoi fatti e personaggi, non fosse drammaticamente vera.
La bolla speculativa sul mattone con i cosiddetti mutui subprime ne ha determinato l’epilogo: Lehman in bancarotta, Merrill Lynch inglobata da Bank of America, il colosso assicurativo, Aig, aggrappato ai prestiti-ponte. Il titolo, “Too big to fail”, appunto, “Troppo grandi per fallire”, è il leitmotiv dissacrante per intuire, in un certo senso, come non basti abdicare al proprio ruolo e dogma, portando il governo (americano) ad acquisire partecipazioni azionarie per ridare fiducia al mercato e frenare la fuga dei correntisti.
Un’anteprima “in sordina” – priva di ospiti, interviste e conferenza stampa – si è svolta al Festival Internazionale a Roma, ottenendo da subito una programmazione (a Sky Cinema1). Dietro il film, diretto dal premio Oscar, Curtis Hanson (L.A. Confidential), c’è l’imponente inchiesta (650 pagine) di Andrew Ross Sorkin, pubblicata in Italia da De Agostini, con un dossier di 500 interviste sui perché di un dissesto finanziario che ha travolto il mondo intero. Il regista ha spiegato che quel crollo “è stato il periodo più intenso e drammatico della crisi, con un inizio e una fine ben definiti, dal crack di Lehman fino al varo del TARP, il maxipiano anticrisi da 700 miliardi di dollari varato dall’amministrazione di George W. Bush e portato avanti dal governo di Barack Obama”.
A Curtis Hanson va il merito d’aver saputo comprimere in meno di due ore, le complesse dinamiche dell’affare Lehman, delle vicende che l’hanno precorso e seguito; se si escludono le riprese di notiziari giornalistici e bollettini d’analisi, ” Too big to fail” (nella versione italiana, “Il crollo dei giganti”), si dipana al chiuso, nelle stanze del potere. Non ci sono inquadrature di banconote e neanche centesimi per un caffè, quasi a voler alludere di quanto il denaro sia diventato un bene che può facilmente volatilizzarsi. Risparmi e risparmiatori diventano pedine di un gioco deciso a tavolino e la dura realtà dei fatti costringe a guardarsi negli occhi; ecco il sottinteso per quei primi piani, un susseguirsi di volti, espressioni e fisionomie: “Mediamente l’uomo della strada non sa che aspetto abbiano Jamie Dimon o John Mack”, motivo, questo, di un cast d’eccezione e di una grande prova d’attori.
James Wood interpreta l’ostinato Dick Fuld, presidente e Ceo di Lehman Brothers, lo stesso che, chiamato a testimoniare al cospetto del Parlamento americano, ha più volte dichiarato: “Non ho ingannato nessuno, le mie affermazioni erano basate sulle informazioni di cui disponevo…”. Ma il personaggio – chiave su cui ruota tutto il film, è Henry “Hank” Paulson, segretario del Tesoro, ex presidente e ad di Goldman Sachs, impersonato magistralmente da William Hurt. A lui spetta l’ingrato compito di trovare una via d’uscita, di tappare i buchi, ma non basterà, tale sarà il livello di default che il fallimento, come uno tsunami, trascinerà nel vortice di tutto.
Paul Giamatti è il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke; Billy Crudup è Timothy Geithner, presidente della New York Federal Reserve Bank; Bill Pullman, il presidente e amministratore Delegato di JP Morgan, Chase Jamie Dimon; mentre Tony Shalhoub è John Mack, Ceo di Morgan Stanley.