Leader di Confindustria, amministratore delegato di Marcegaglia S.p.A., presidente dell’Università Luiss e di recente Cavaliere della Légion d’honneur francese, Emma Marcegaglia è l’unica top manager italiana nella classifica “Women of the Top 2011” stilata dal Financial Times.
Ventinovesima nell’edizione 2010, quest’anno arriva al ventesimo posto, confermandosi donna business leader di successo a livello internazionale. Nel profilo a lei dedicato, il quotidiano britannico descrive Emma Marcegaglia come “una rara eccezione in un mondo imprenditoriale italiano dominato dagli uomini”. E aggiunge: “Ha una reputazione da dura – fra i suoi soprannomi “Lady di ferro” e “Black & Decker” – ed è (stata) una voce critica nei confronti del governo del premier Silvio Berlusconi, sollecitando riforme politiche ed economiche”.
Interessante per l’Italia anche la classifica delle donne manager emergenti secondo il Financial Times. Tra le italiane: Daniela Riccardi, nuovo a.d. di Diesel, Monica Mondardini, a.d. del gruppo editoriale L’Espresso e Patrizia Grieco, a.d. di Olivetti. Emergenti ma con più difficoltà degli uomini, come ha sottolineato lo stesso quotidiano britannico segnalando Italia e Germania quali “Paesi che offrono meno spazio alle donne ai vertici dell’economia”. Continuano invece a risalire la classifica, con un peso del 20% sul totale, le manager cinesi ed indiane mentre ancora una volta non entrano nella lista donne latino-americane.
Al primo posto c’è l’americana Irene Rosenfeld, a.d. di Kraft Foods, al secondo la turca Güler Sabanci a capo dell’omonima Holding e della Fondazione Sabanci University di Istanbul e al terzo l’indiana Indra Nooyi, dirigente di PepsiCo, l’anno scorso al primo posto nella classifica.
Seguono fino alla decima posizione: Ursula Burns (Xerox), Andrea Jung (Avon Products), Ellen Kullman (DuPont), Dong Mingzhu (Gree Electric Appliances), Angea Ahrendts (Burberry), Yoshiko Shinohara (Temp Holdings), Chanda Kochhar (ICICI Bank).
Le 50 top manager sono state selezionate da una giuria di esperti in base a informazioni sulle performance, la durata, il dato biografico, la complessità dell’azienda – dal numero di impiegati ai paesi raggiunti – e al panorama competitivo. Ciò che emerge dalla lista definitiva del 2011 è che i cambiamenti nel ranking illustrano la necessità di “correre rischi”, giungendo alla conclusione che il rischio premia.