In mancanza di welfare pubblico, sembra che molte aziende siano scese in campo per garantire ai propri dipendenti soddisfazione, benessere e benefit a tutto vantaggio della produttività. Una delle ultime figure create è l’happy manager, una funzione sorta in qualche grande società con il compito di svolgere quelle commissioni personali che il lavoratore non riesce a fare per mancanza di tempo. Ma anche per organizzare interventi migliorativi nella vita lavorativa, per farla conciliare al meglio con quella privata. In ogni caso, è un benefit che le imprese concedono a colletti bianchi e tute blu e che rientra in programmi di welfare incoraggiati dalle istituzioni.
Le sue funzioni sono a 360 gradi: si occupa di rinnovare la patente, andare alla posta a pagare le bollette di casa o portare l’auto a riparare sollevando i dipendendi da questi compiti o facilita l’accoglienza dei figli in azienda durante la sospensione della scuola.
In grandi aziende, anche pubbliche, l’happy manager insieme al mobility manager è il tipico esempio di welfare aziendale che dà un valore aggiunto ai dipendenti e che le fa lavorare meglio, a costo sostanzialmente zero, visto che non è l’azienda a pagare i servizi dell’happy manager ma i lavoratori stessi.
“All’interno della Sace – l’azienda controllata dal Tesoro che opera nel campo assicurativo e del credito – questa figura si occupa di mettere a disposizione del personale fornitori qualificati in spazi aziendali” spiega il Csr manager Paolo Cerino, incaricato di guidare le politiche di sostenibilità dell’azienda.
“Il nostro happy manager, in realtà, si occupa di cose ben più importanti di portare gli abiti in tintoria o di fare il pieno all’auto dei dipendenti: attiva campagne di sensibilizzazione come quella nutrizionale, quella sulle mani pulite in azienda (per evitare contagi e malattie) o quella contro il fumo”.
In ogni caso, per attuare una serie di misure che vengano incontro ai dipendenti, occorre prima ascoltarli e capirne le esigenze attraverso questionari anonimi o colloqui. E sono proprio questi che hanno fatto emergere un desiderio di “tempo libero e di flessibilità dell’orario di lavoro” da parte della maggioranza dei lavoratori di grandi aziende. Sarà per questo che oggi le iniziative più diffuse sono la possibilità di gestire a piacimento l’orario di entrata e uscita (adottata dal 90% delle imprese), l’estensione oltre gli obblighi di legge dei permessi retribuiti per assistenza familiare (75%), la possibilità di effettuare part-time reversibile e check up medici con un 30% dei costi a carico dell’azienda nel settore oncologico, odontoiatrico e oculistico. Il welfare aziendale si attua anche nella possibilità di svolgere il telelavoro e dirichiedere periodi di aspettativa per motivi familiari oltre i termini di legge.
L’approccio di dare servizi ai dipendenti, infine, apre nuove strade verso nuove relazioni industriali: in molti contratti collettivi e integrativi si considera a tutti gli effetti gli interventi di welfare aziendale come componenti della remunerazione oggetto della contrattazione.
Anche il ministero delle Politiche sociali, attraverso l’accordo del 7 marzo 2011, ha voluto stimolare le aziende a lavorare nella direzione di conciliare la vita privata con il lavoro auspicando più flessibilità e prevedendo anche benefici fiscali per gli interventiin questo senso.