Divide et impera: dietro lo strappo di Bruxelles (vertice Ue, 8/9 dicembre) e le apparenti stranezze dei mercati, c’è l’ombra di un conflitto tra la vecchia City londinese (associata a Wall Street) e la nuova Bce di Mario Draghi. Uno scontro che si combatte nei terminali del miglio d’oro, a sfavore di Btp e titoli bancari di Parigi, Milano, Madrid; a tal punto che l’aforisma dell’antica Roma può inglesizzarsi in “divide and conquer”.
Le teorie degli analisti finanziari non lasciano dubbi: quel che è accaduto giovedì 8 dicembre, con il crollo delle borse europee mentre al vertice salva-euro si discuteva l’accordo per il nuovo trattato sull’Unione di bilancio – senza la Gran Bretagna – è un ribaltone orchestrato a scapito dell’eurozona; bersaglio privilegiato della speculazione, Mario Draghi, eroe del giorno, dopo l’annuncio del “fiscal compact”, per una politica monetaria più rigorosa, nel frattempo irriso come “Pope Mario in the euro-bordello” (titolo di “The Economist online”).
L’Unione di bilancio, una sorta d’iter collaborativo con nuove regole e l’obiettivo d’uniformare i rendiconti dei Paesi membri, è riuscita a rinsaldare i 17 cooperanti d’Eurolandia, più altri nove, ma non ha convinto il premier inglese, che resta chiuso nella sua torre d’avorio pur di non rinunciare a ulteriori “quote di sovranità”, in materia di servizi finanziari. Intanto, Svezia e Repubblica Ceca, prendono tempo e indicono un referendum per aderire all’alleanza, mentre l’Ungheria, inizialmente schieratasi con Londra, in un repentino dietrofront ha poi chiesto “un’interrelazione con il Parlamento”.
L’accordo intergovernativo sarà ratificato a marzo dai 26 stati membri e, a meno di ripensamenti, con la sola esclusione della Gran Bretagna.“Un giorno storico”, per Herman Van Rompuy, attuale presidente in carica per l’Ue. La battaglia sull’Euro è poi continuata con altre prassi e in diverse sedi. Intorno alla Bce e a un banchiere (Mario Draghi) più ferrato di tanti politici navigati, sembrano adombrarsi interessi non proprio a favore. L’insofferenza della Gran Bretagna, che antepone gli interessi della sua industria leader, vale a dire, la finanza, al “fiscal compact” di Draghi e al nuovo trattato dei 26, potrebbe far riflettere su contrapposti spiegamenti in campo: da una parte, il vecchio sistema della City (con Wall Street), dall’altra l’Ue, risoluta nell’applicare regole comuni anche sui servizi finanziari.
Sulla decisione di David Cameron si continua a parlare dentro e fuori il Regno Unito. Secondo il progressista The Guardian, le ragioni del “no” sono nazionali: qualsiasi accordo avrebbe diviso il suo governo di coalizione e peggio, avviato le procedure per un referendum, determinando verosimilmente, il completo distacco del Regno Unito dall’Unione Europea. Per la Gran Bretagna, che “non ha una politica estera visibile e nulla da dire sull’Europa”, si creano invece, nuove opportunità e strategie.
Convinzione è che l’Europa non ottenga alcun beneficio dalla moneta unica, mentre è vitale mantenere l’Unione oltre l’Euro, perché il progetto di stabilizzazione con i molteplici problemi del debito sovrano, potrebbe anche fallire. A questo punto, Cameron pare abbia cercato una via di fuga dall’asse franco-tedesca, da un progetto europeista che, a suo dire, ha tutte le probabilità di collasso.
Col tempo, conclude The Guardian: “I paesi dell’Europa Unita potranno ringraziare la Gran Bretagna ancora una volta, per averli salvati da sé stessi”.