Cassazione: sì al controllo delle email dei dipendenti

di Teresa Barone

28 Febbraio 2012 09:30

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L'azienda è legittimata a controllare le email dei lavoratori per tutelare l'immagine del gruppo: lo stabilisce una sentenza della Cassazione.

I datori di lavoro hanno il diritto di controllare le email dei dipendenti quando in ballo c’è l’immagine stessa dell’azienda: se si tratta di un’azione di natura difensiva e non dettata dalla volontà di violare la privacy del collaboratore, non sussiste alcuna trasgressione dello statuto dei lavoratori.

La Corte di Cassazione ha negato il ricorso di un ex dirigente della Bipop Carire, licenziato nel 2004 per insder trading: accuse supportate proprio dalle informazioni rilevate attraverso il controllo della casella di posta elettronica da parte dei superiori, che in questo modo hanno potuto provvedere all’immediato licenziamento per giusta causa.

Una decisione che – oltre a confermare quanto sancito dalla sentenza di primo grado e dalla Corte d’Appello – rappresenta un precedente fondamentale in materia di tutela dei diritti dei lavoratori. A niente è servita la battaglia del dirigente bancario e basata sulla presunta illegittimità del provvedimento, solo apparentemente in contesto con quanto definito dall’articolo 4 dello statuto dei lavoratori in materia di privacy dei dipendenti.

Secondo la Corte Suprema non c’è stata alcuna lesione della “dignità e riservatezza del lavoratore“, poiché il controllo delle email si è reso necessario per accertare un comportamento del dipendente potenzialmente dannoso per l’azienda. Il manager, addetto all’ufficio Advisory center, aveva infatti usato il suo account personale per divulgare informazioni riservate relative a un cliente dell’istituto bancario, al fine di direzionare alcune delicate operazioni finanziarie in modo tale da trarne profitto personalmente.

Un gesto di “indubbia gravità e particolarmente lesivo dell’elemento fiduciario, in quanto il suo comportamento nasceva da un abuso della sua elevata posizione professionale“. Queste le parole pronunciate dalla Corte di Cassazione di Brescia, che ha sottolineato come “il datore di lavoro ha posto in essere un’attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) dagli stessi posti in essere.”

Il diritto alla riservatezza del dipendente, in ogni caso, deve essere tutelato nella maggioranza dei casi, e il controllo dei messaggi inviati o ricevuti da un subordinato, indipendente dall’incarico e dalla maggiore o minore responsabilità, rappresenta generalmente una pratica non consentita soprattutto per scopi disciplinari, mentre a rappresentare l’eccezione è proprio la legittima volontà dell’azienda di proteggere la propria immagine.

Fonte: Pmi.it