Il manager in azienda secondo i dipendenti? Poco raccomandabile anche se possiede le doti principali di un capo: buone doti comunicative, con una visione chiara della strategia e abile nel lavoro di squadra, come mostrano i risultati di una ricerca effettuata da Kelly Services, società presente specializzata nei servizi per le risorse umane, presente in diversi paesi del mondo e in grado di captare e analizzare quelli che sono i sentimenti dei dipendenti.
L’ultima ricerca l’ha effettuata tra 97.000 impiegati di 30 Paesi, di cui 5.500 in Italia. Oggetto: l’opinione del proprio capo o del proprio datore di lavoro.
Il risultato che emerge non è esaltante per i “boss” delle aziende, a iniziare dal fatto che il 51% degli intervistati non si sente sufficientemente supportato dal proprio capo in un’ottica di miglioramento professionale. E sembra che in Italia le cose vadano particolarmente male, visto che il voto medio che i dipendenti della Penisola danno al proprio datore di lavoro è il più basso rispetto a tutti i paesi oggetto dell’indagine e solo il 40% degli intervistati raccomanderebbe ad amici e conoscenti il proprio capo.
Tra le motivazioni di questa diffusa insoddisfazione ha un ruolo importante, secondo il 21%, l’ambiente di lavoro, a pari merito con la tipologia di leadership considerata non adeguata. Seguono la poca mobilità verso l’alto – per il 18% – e la scarsa formazione per l’8%.
L’analisi condotta da Kelly Services ha preso in esame diversi parametri, tra i quali le doti comunicative del capo, la sua personalità e il suo stile di leadership, la capacità di trasmettere ai collaboratori una visione chiara e precisa e il lavoro di squadra.
Rispetto agli anni scorsi, riguardo allo stesso tema, si evidenzia oggi un “sentimento aziendale” discostante. Infatti, tra il 2009 e il 2010, il 39% degli italiani aveva sviluppato un più forte senso di appartenenza all’azienda. Tra questi, il 12% aveva dichiarato di essere “fidelizzato” alla società per la buona gestione manageriale, soprattutto in termini di politica retributiva e il 13% per i percorsi di formazione, oggi, invece, considerati scarsi.
“Il punto di vista dei dipendenti è estremamente importante per comprendere l’organizzazione di un’azienda e darle credibilità. Offre, infatti, un segnale inequivocabile sulla capacità del management di gestire, e contestualmente attrarre, talenti. È oramai assodato che se i dipendenti sono soddisfatti e vivono in un contesto lavorativo piacevole, ne trarrà beneficio anche il profitto aziendale” commenta Stefano Giorgetti, amministratore delegato & VP di Kelly Services Italia.
Ecco il contesto italiano
- La generazione Y (18-29 anni) e la generazione X (30-47 anni) concordano nell’attribuire alla generazione X le migliori capacità di leadership, mentre la generazione dei baby boomers (età 48-65) le attribuisce ai propri componenti.
- il 26% degli intervistati ha dichiarato che il proprio capo non li considera solo meri esecutori, ma tende a coinvolgerli nei progetti e nella vision aziendale. Il 20% ha definito “arricchente” lo stile di leadership della propria azienda, il 19 % “autoritario” e il 12% “oppressivo”.
- Gli appartenenti alla generazione Y sono meno severi nei confronti del proprio datore di lavoro rispetto alle altre generazioni. Infatti, la percentuale di coloro che lo raccomanderebbero ad amici e conoscenti si attesta al 50%, contro il 36% della generazione X e il 32% dei baby boomers. I siciliani, con il 53%, sono in assoluto i più propensi a parlar bene del proprio capo.
- Il settore in cui i datori di lavoro hanno raggiunto il voto più alto (6,5) è l’hospitality, seguito dalla pubblica amministrazione (6,1) e oil/gas (6,0). Il voto più basso è stato espresso dai dipendenti del comparto manifatturiero, che hanno attribuito ai loro capi solo 5,2.