Sarebbero 40.000 i manager che in Italia hanno perso il posto di lavoro negli ultimi 4 anni. A denunciare queste cifre è un articolo comparso sul quotidiano La Repubblica il 2 aprile.
Per ciascun anno dal 2008 al 2011, secondo quanto riportato, i professionisti licenziati dalle aziende sono stati rispettivamente 10.000, 12.000, 10.800 e 10.200. Ogni anno il 20% dei dirigenti in media perde il contratto mentre meno del 50% ritrova sul mercato un pari impiego. Il 60% viene mandato a casa dopo licenziamento e il 40% si dimette volontariamente, percentuali che rovesciano la tendenza di qualche anno fa quando le opportunità offerte dal mercato incoraggiavano il cambio più frequente di posizione lavorativa.
A favorire l’uscita di scena dei manager concorre la difficile situazione economica accompagnata da processi di concentrazione aziendale e dallo spostamento all’estero di alcune fasi produttive di industrie multinazionali, segnatamente nel settore della chimica.
Fra i comparti più colpiti dalla crisi occupazionale ci sono quelli legati all’attività bancaria e farmaceutica cui si aggiunge l’automotive, l’impiantistica industriale, l’alimentare e parte della meccanica tradizionale e dell’informatica. Il calo maggiore delle posizioni dirigenziali si è verificato nel campo dell’industria mentre nei servizi il numero complessivo dei manager è cresciuto a riprova di un dinamismo in questo settore che potrebbe offrire occasioni di ripresa economica.
Il tempo medio di ricollocazione lavorativa varia dai 6 mesi ad un anno ma, come spiega Guido Carrella, presidente di Manageritalia, ritrovare un impiego è diventato un obiettivo molto difficile da raggiungere. Le cause sono da rintracciare nel ridimensionamento dei vertici aziendali, nel mancato sviluppo di troppe società e nel carattere ristretto della dimensione manageriale italiana in cui la quantità di dirigenti in rapporto al numero di impiegati è al di sotto della media di paesi europei più avanzati come Francia e Germania.