L’Italia non è un Paese molto ambito per i manager stranieri. O forse le aziende italiane sono poco aperte verso l’assunzione di dirigenti di alto livello provenienti da oltre confine, come mostrano i dati Inps e Istat elaborati da Manageritalia, a differenza di quanto succede in altre Paesi europei.
Allo stato attuale, i dati parlano di 6.928 manager nati all’estero ingaggiati nelle imprese private della Penisola, pari al 5,6% del totale. E solitamente sono rappresentati da manager di aziende multinazionali che inviano in Italia i propri uomini di fiducia (età media: 48 anni) a guidare la società nonostante le ancora scarse conoscenze della lingua di Dante. Tracciandone un profilo, si scopre che il 60% di essi è nato in un Paese europeo e che la componente maschile è preponderante, visto che solo il 20% è rappresentato dal gentil sesso.
Secondo alcuni, la bassa percentuale di manager stranieri è dovuta al fatto che il tessuto produttivo italiano è ancora composto da aziende di piccole e medie dimensioni, che lasciano poco spazio a dirigenti con passaporto diverso dal nostro proprio perché l’impresa è “fatta in casa” e gestisce tutto con personale locale.
Quello che invece sta cambiando negli ultimi anni, come sostengono alcuni cacciatori di teste, è che mentre un tempo i manager stranieri ricoprivano quasi eslusivamente ruoli di primo livello come CEO o CFO, oggi anche i ruoli dirigenziali più bassi sono talvolta ricoperti da personale non italiano, soprattutto nelle grandi aziende dove la professionalità elevata è più richiesta e dove l’importanza della conoscenza della lingua è meno forte.
Ci sono poi altri fattori che provocano qusto stato di cose: da un lato la scarsa apertura delle imprese italiane verso l’estero e dall’altra il trattamento economico inferiore rispetto ai manager che invece scelgono di andare a lavorare nel Regno Unito o nel nord Europa, dove tra l’altro le famiglie ricevono servizi che da noi sono ancora lontani dall’essere applicati.
Panorama completamente diverso nella vicina Svizzera, dove un rapporto di una società specializzata nella ricerca di personale di alto profilo indica che entro pochi anni (si parla del 2015) un manager su 2 assunto nella confederazione avrà nazionalità straniera, anche a causa della ristrettezza del mercato locale e anche grazie alla sostanziale apertura del Paese alla forza lavoro proveniente dall’Unione europea e dalla Germania in particolare, fenomeno che – tra l’altro – aiuta le aziende svizzere a posizionarsi meglio sui mercati internazionali, anche se da alcune forze politiche elvetiche si sono levate delle perplessità quando non delle proteste.
Se i manager stranieri sono presenti anche nelle pmi rivolte all’estero, sono soprattutto le multinazionali a fare la parte del leone, visto che il 66% dei dirigenti delle principali aziende quotate alla borsa svizzera hanno nazionalità straniera.