Le commissioni Finanze e Attività produttive della Camera hanno provveduto a dichiarare come inammissibili circa 900 emendamenti sui 1.900 presentati al decreto legge Sviluppo. Una buona quota degli emendamenti rifiutati faceva riferimento alle modifiche di alcune norme della riforma del mercato del lavoro. A ricordarlo è stato il componente Pd della Commissioni Attività produttive, Andrea Lulli, che ha altresì precisato come la decisione dipenda dall’estraneità degli emendamenti alla materia del decreto.
Tra le modifiche che erano state proposte dai partiti di maggioranza, e raccolte in 10 emendamenti da approvarsi all’interno del decreto Sviluppo, figurava il rinvio al 2014 (anziché 2013) dell’entrata in vigore dell’Aspi, il nuovo sistema di ammortizzazione sociale che dovrebbe sostituire le versioni attuali, al fine di consentire alle aziende e ai lavoratori di poter fronteggiare al meglio le difficoltà in atto nel Paese.
Un emendamento del Pdl richiedeva invece il rinvio dell’aumento dell’aliquota contributiva per le partite Iva e il calcolo su 2 anni anziché su uno, del reddito proveniente da un solo committente per stabilire se si tratti o meno di una partita Iva “autentica” o di una partita Iva “falsa”. Era altresì prevista una riduzione dei tempi di pausa tra un contratto a termine e un altro, con limitazione ai soli lavori stagionali.
La bocciatura degli emendamenti arriva contemporaneamente alle dichiarazioni piuttosto critiche del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in relazione alla riforma del lavoro più volte citata. “Quando (Monti, ndr) parla dei giovani” – ha affermato la Camusso – “dovrebbe pensare alle leggi sulla precarietà, di cui la riforma del lavoro del suo Governo è l’ultima tappa. Forse il presidente del Consiglio si dimentica che al Governo è arrivata la destra, che cancellò la concertazione, sono 20 anni che non abbiamo concertazione e così sono arrivate le leggi sulla precarietà”.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro “certifica”, intanto, che il numero dei disoccupati nell’Eurozona potrebbe passare dagli attuali 17,4 milioni di unità a ben 22 milioni di unità entro i prossimi 4 anni, se non vi sarà un cambiamento concertato delle politiche. Tra chi, invece, in Italia un lavoro riesce ad averlo, sempre di più sono i “precari“: ad affermarlo è la Cgia di Mestre, secondo cui coloro che non hanno un lavoro stabile sono più di 3,3 milioni, e guadagnano mediamente 838 euro al mese.