Il 59% dei manager ritiene che i social media non siano efficaci come strumenti per il recruiting del personale, il 47% non li usa e il 50% invece crede che non saranno mai utili per la selezione di nuove figure professionali, nemmeno in futuro.
È quanto emerge da una recente indagine realizzata da Robert Half, una delle società di recruitment più popolari e antiche in assoluto, ed esplicata in un articolo comparso sull’inserto Affari e Finanza de La Repubblica. L’obiettivo è quello di comprendere quanto canali sociali quali Facebook, LinkedIn e Twitter in primis possano costituire un vantaggio anche per chi deve effettuare delle selezioni per assumere nuovo personale.
Carlo Caporale, partner di Robert Half, ha commentato nel seguente modo l’indagine: «in realtà è importante fare una distinzione tra i diversi strumenti disponibili in rete. Un sito come Linkedin, che raccoglie i profili professionali di milioni di persone nel mondo, è sicuramente più seguito rispetto a Facebook, considerato dai direttori del personale italiani come un raccoglitore di informazioni più ludiche che lavorative. Detto questo anche nel nostro campo vediamo che la ricerca di personale nelle aziende passa ancora attraverso i canali più tradizionali, quindi l’autocandidatura, l’indicazione da parte dei cacciatori di teste, o ancora l’inserzione di offerte di lavoro sui siti internet dedicati. Il ricorso ai social network, in quest’ambito, avviene semmai come strumento di controllo, una volta individuata la risorsa».
Insomma Facebook, Twitter o LinkedIn magari sono utili ai manager per verificare informazioni e profili valutati da chi sta esaminando una candidatura, ma nulla di più. Quindi partendo da quanto è possibile ottenere sul Web 2.0 si possono comprendere magari degli aspetti della personalità di un candidato, cosa che poi potrà essere utile nel momento del recruiting, e questa è una base di partenza, ma sarà poi esclusivamente il curriculum e altre informazioni fornite dal candidato a fare la differenza.
Un recente studio condotto a Evansville, Illinois e Ausburn aveva già individuato una minima importanza dei profili sui social network al momento del recruiting, spiegando che «chi non è disciplinato nelle conversazioni o in quello che pubblica online, sarà un dipendente poco consapevole. E chi in Rete rivela una tendenza a continui voltafaccia nella vita di relazione, non sarà un candidato affidabile dal punto di vista della stabilità emotiva». Ma fatto sta che agli occhi dei recruiter o dei direttori dei personali, l’assunzione ancora non passa dal Web 2.0. E forse non passerà mai da qui.
Il motivo viene esplicato da Francesca PArviero, titolare della HR Jungle: «La verità è che sviluppare piattaforme che sappiano scovare i talenti attraverso il web è molto più efficace e soprattutto molto più economico per un’azienda piuttosto che affidarsi a una società di recruitment. In genere le grandi multinazionali ma anche le medie aziende italiane in forte crescita, specializzate nel settore dei servizi, si stanno aprendo a questi strumenti. Alla base c’è un problema culturale da superare che tiene alcuni manager legati ai vecchi schemi e alle vecchie modalità di selezione. Ovviamente il ricorso ai social network è maggiore per la ricerca dei profili di middle management, meno comune nel caso dei top manager, per i quali si battono generalmente altre strade».