La bolletta energetica sopportata dalle aziende italiane è fermamente più salata di quella onorata dalle imprese del vecchio Continente. All’interno della Penisola, inoltre, il record per la bolletta più cara è attribuibile alla Lombardia e, nel suo recinto, nel capoluogo milanese, dove l’utenza è costosa come mai altrove. Ad affermarlo è una recente analisi compiuta dalla Confartigianato, secondo cui gli imprenditori italiani, nel 2011, hanno pagato oltre 10 miliardi di euro in più in bollette energetiche rispetto alla media Ue, con le sole aziende del Nord che nello stesso periodo hanno contribuito per quasi 6 miliardi di euro in più rispetto ai colleghi Ue.
Sempre secondo quanto sostenuto dalla Confartigianato, la regione più penalizzata sarebbe proprio la Lombardia con quasi 2,3 miliardi di euro di maggiori oneri rispetto alla media Ue. A seguire il Veneto, con un differenziale con la media Ue pari a poco più di 1 miliardo di euro e, quindi, l’Emilia Romagna con 900 milioni di euro e il Piemonte con 850 milioni di euro.
Se dalle regioni passiamo alle province, quella più penalizzata è sicuramente quella di Milano, con un differenziale sulla media pari a 555 milioni di euro, seguita da Brescia con 467 milioni di euro, Roma con 447 milioni di euro, Torino con 343 milioni di euro e quindi Bergamo con 293 milioni di euro.
In termini microeconomici, ogni impresa italiana paga l’energia elettrica almeno 2,2 mila euro in più rispetto alla media degli imprenditori europei, raggiungendo dei picchi oltre i 4 mila euro per le imprese del Friuli Venezia Giulia, 3,4 mila euro per le imprese sarde, 2,8 mila euro per quelle lombarde, 2,7 mila euro per quelle valdostane.
Su base progressiva, in Italia l’incremento dei prezzi dell’elettricità per uso industriale non conosce pause. Negli ultimi tre anni i prezzi energetici sono aumentati del 17,4%, contro un + 9,5% dell’eurozona. Nel solo ultimo biennio l’apprezzamento è stato dell’11%, contro un + 5,9% da parte dell’Ue. Ne è derivato un allargamento dello “spread” energetico tra l’Italia e l’Europa, con un differenziale che nel corso del 2009 era pari al 26,5 per cento, per poi salire al 29,4% nel 2010 e del 35,6% nel 2011.
La “colpa” di questo apprezzamento non è, purtroppo, delle sole materie prime. La pressione fiscale italiana, sempre più gravosa, incide infatti per oltre un quinto del prezzo finale dell’elettricità. A confermarlo il presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, che precisa come “il costo dell’energia elettrica per uso industriale sia una delle tante zavorre che frenano la corsa delle imprese italiane, uno dei tanti oneri che riducono la nostra competitivita’ rispetto ai competitor europei. Anche su questo fronte chiediamo al Governo di agire in fretta per cominciare ad avvicinarci agli standard degli altri Paesi dell’Ue”.