Indagine su Ryanair per contributi non versati

di Carlo Lavalle

17 Ottobre 2012 06:30

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Sotto indagine il CEO della compagnia aerea Ryanair, Michael O'Leary, accusato di aver procurato un danno erariale all'Italia per milioni di euro.

Il numero uno di Ryanair, Michael O’Leary, insieme al direttore degli Affari Legali della compagnia aerea irlandese Juliusz Komorek, sono oggetto di indagine da parte della procura di Bergamo. L’ipotesi di reato è omesso versamento dei contributi all’Erario italiano.

In sostanza, Ryanair è accusata di aver aggirato la legislazione italiana con lo stratagemma di assumere a Dublino, dove la tassazione è inferiore a quella italiana (12% contro 37%), 220 dipendenti che lavorano all’aeroporto bergamasco di Orio al Serio.

Per i legali del vettore, la compagnia low cost avrebbe agito in maniera corretta e non ci sarebbe nessuna violazione di legge dal momento che i propri assunti, operando a bordo di aerei irlandesi, non svolgerebbero alcuna attività lavorativa in Italia. Di conseguenza, non ci sarebbe nessun obbligo di pagamento delle tasse nella Penisola.

Diversa e opposta la tesi dei magistrati italiani, che hanno iscritto nel registro degli indagati l’amministratore delegato di Ryanair: secondo loro i dipendenti sono assoggettabili al diritto italiano avendo costatato peraltro che uno dei requisiti per l’assunzione risulta essere il domicilio entro un’ora dall’aeroporto e che i singoli lavoratori usufruiscono delle prestazioni sanitarie del sistema sanitario pubblico nazionale.

Il danno economico per l’Italia, come stimato da Inps e Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo, sarebbe quantificabile in circa 12 milioni di euro.

L’imponibile da ritenersi oggetto di evasione sarebbe però anche maggiore secondo i calcoli degli ispettori in quanto più lunga la lista dei dipendenti di stanza ad Orio al Serio considerato il periodo dal 2003 al 2010. Tuttavia, potrebbe essere impossibile da riscuotere anche in caso di condanna di Ryanair a causa di intervenuta prescrizione.

L’insistenza della compagnia di Dublino, che ha sempre sostenuto di non avere in Italia una stabile organizzazione di servizio, ha portato a posizioni inconciliabili fino al punto da rifiutare l’ingiunzione a pagare i contribuiti contestati.