In Italia la contraffazione e la vendita di prodotti falsi costituisce a un danno per l’occupazione e per il fisco. Secondo una ricerca del ministero dello Sviluppo Economico, effettuata in collaborazione con il Censis, tali attività illecite costerebbero al Paese 110mila posti di lavoro e alle casse dell’Erario circa 1,7 miliardi di mancate entrate tributarie.
Se poi gli stessi prodotti (originali) fossero venduti sul mercato legale attraverso i normali canali distributivi, la produzione salirebbe di 13,7 miliardi e le imposte (compreso l’indotto) di 4,6 miliardi di euro. In altre parole: il decreto Salva Italia di Monti avrebbe potuto essere di ben altro tenore. Ogni anno, questo mercato parallelo fattura (o per meglio dire: porta nelle tasche di chi lo gestisce) ben 6,9 miliardi di euro ed è tremendamente esteso, al punto che “non esiste prodotto che non possa essere imitato e venduto”.
I settori più colpiti da questo fenomeno illegale – che spesso si svolge alla luce del sole – sono l’abbigliamento e gli accessori (2,5 miliardi di euro), il comparto cd, dvd e software (1,8 miliardi di euro) e i prodotti alimentari (1,1 miliardi di euro). Addirittura per i cosmetici la crescita della contraffazione sarebbe stata di almeno 15 volte nel giro di 10 anni.
La ricerca del Censis, presentata nella mattinata di oggi, mostra anche che ciò che danneggia l’occupazione e il fisco – e quindi l’intero Paese – non solo la contraffazione dei marchi dei prodotti venduti ma anche la cosiddetta contraffazione del design, ossia l’utilizzo indebito di progetti e disegni registrati per produrre beni uguali a quelli originali soprattutto nel campo della pelletteria e dell’arredo, e la falsificazione dell’indicazione Made in Italy esso stesso un marchio.
Tale mercato del falso si alimenta naturalmente con la forte domanda dei consumatori, ai quali interessa fare un affare e spendere poco per un prodotto spesso apparentemente identico a quello originale.