Starbucks potrebbe cambiare strategia e pagare per intero le tasse in Gran Bretagna, finendo con una elusione fiscale che – pur legale – aveva fatto storcere il naso al governo di Sua Maestà.
La catena americana di caffetterie ha infatti ritenuto opportuno non esporsi più nei confronti del fisco di Londra e iniziare a fatturare tutti i suoi introiti direttamente nel Paese dove vengono realmente percepiti, senza ricorerre a escamotage che prevedevano documenti contabili redatti in Olanda o in Svizzera dove si paga di meno in modo da poter contare su margini maggiori.
“Sentiti i nostri clienti e i nostri dipendenti – spiega una nota aziendale – abbiamo deciso di rivedere la nostra politica fiscale in Gran Bretagna con periodici incontri con il Tesoro e con gli uffici del fisco“.
Se la misura andasse in porto, è possibile che anche altri aziende “big” americane seguano lo stesso esempio o si arrendano alla strategia dell’Unione europea in questo settore, volta a impedire – o per lo meno rendere più difficile – l’elusione fiscale da parte delle imprese che operano nei Paesi membri. Tra questi ci potrebbero essere nomi noti come Google, Amazon, Facebook e altri che “in maniera legale ma immorale” (come ha precisato una nota di Dwning street) fanno affari nel Paese, svicolando dalla presa delle tasse.
In ballo ci sono centinaia di milioni di euro che potrebbero finire nelle casse del governo britannico e che ora finiscono, oltre che nei citati Paesi, anche nella vicina Irlanda, dove il fisco è decisamente più vantaggioso per le imprese. Ma la mossa di Starbucks è dettata non solo da un improvviso senso di giustizia quando dal timore che i suoi prodotti possano venir boicottati dai consumatori in seguito alla cattiva pubblicità che si sta facendo.
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Intanto il governo della regina ha reso noto di voler incrementare i fondi da destinare all’elusione – e all’evasione – fiscale, con particolare riferimento alle multinazionali che grazie alla loro rete capillare di sedi europee riescono a pagare tasse irrisorie in rapporto al fatturato. Secondo un calcolo effettuato dalle autorità comunitarie, questa strategia costerebbe agli Stati europei 50 miliardi di euro ogni anno.
Anche l’Italia non sfugge a questo stato di cose, come denunciato dalla Guardia di Finanza. Tra queste ci sarebbe anche Google, che nonostante l’apertura di una sede nel centro di Milano, fattura a Dublino gran parte dei ricavi provenienti dalla pubblicità pagando (anno 2011) 8 milioni di tasse su 12,5 miliardi di ricavi. Tutto legalmente.