Con la crisi, lavoro femminile a rischio

di Liliana Adamo

13 Dicembre 2012 07:00

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Secondo un rapporto Onu, sono stati bruciati dalla crisi tredici milioni di posti di lavoro per le donne.

Il divario tra lavoratrici e lavoratori cresce in maniera esponenziale e il report presentato dall’Organizzazione internazionale del lavoro, parla chiaro: rispetto a quello maschile, il tasso di disoccupazione femminile è aumentato dello 0,7% e le previsioni non sono rosee, poiché il dato non sembra destinato a retrocedere prima del 2017.

La crisi economica dunque, si è abbattuta come una scure non solo sul fronte giovanile ma non ha risparmiato le donne che, secondo Michelle Bachelet (che presiede l’Agenzia per l’Uguaglianza di Genere e l’Empowerment) a questo punto avrebbero bisogno in maggior misura di protezioni sociali.

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Il report dell’Ilo, agenzia Onu che promuove temi come la giustizia sociale, in collaborazione con Un Women, ha rilevato quanto sul fronte occupazionale, siano le donne a pagare di più e a livelli globali. Dal 2002 al 2007 il gap di genere nella mancanza di lavoro si era mantenuto costante con circa 0,5 punti percentuale, vale a dire, 5,8 per le donne, 5,3% per gli uomini, mentre nel 2012 il tasso di disoccupazione femminile è salito al 6,4% rispetto a quello maschile (5,7), con trend negativo annunciato nei prossimi anni.

E c’è di più, la percentuale di donne con impieghi precari (o vulnerabili, come scrive il documento Onu), si attesta al 50% mentre quella maschile è del 48: queste disparità si ampliano nei paesi del Nord Africa (24%), del Medio Oriente e dell’Africa sub-sahariana (15%). Non stanno meglio i paesi europei o del Nord America, dove il divario esiste e si sta rapidamente accentuando. Come si è detto, il documento dell’Ilo auspica e propone un allargamento per misure di protezione sociale, nonché investimenti in competenze e istruzione che possano moderare quegli elementi di vulnerabilità per le lavoratrici.

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Da un’approfondita disamina riguardante voci come disoccupazione, occupazione, partecipazione alla forza-lavoro, vulnerabilità (o precarietà), segregazione professionale e dei settori, emerge un elemento di rottura, addirittura prima della crisi, le disparità di genere propendevano a un’attenuazione sostanziale; la recessione, purtroppo, ha invertito la tendenza, inasprendo le disuguaglianze nelle regioni più povere. Se nei paesi industrializzati a essere sfavoriti sembrano proprio gli uomini che lavorano in settori legati al commercio rispetto alle lavoratrici in campo sanitario e dell’istruzione, nei paesi in via di sviluppo, al contrario, sono le donne che operano negli ambiti commerciali a essere duramente colpite.

Michelle Bachelet guarda alle pari opportunità non solo ed esclusivamente viste nell’ottica di giustizia sociale, ma come una strategia vantaggiosa: nonostante che queste donne contribuiscano al sistema produttivo, raccolgono sul loro cammino troppi ostacoli che impediscono, di fatto, l’espressione di un grande potenziale economico e culturale.