È un argomento che ciclicamente ritorna al centro del dibattito politico, tanto più ora che da destra e da sinistra si cerca il più ampio consenso elettorale possibile. Tassare i grandi patrimoni potrebbe rappresentare una soluzione credibile, efficace e magari anche strategica per fare cassa senza continuare ad impoverire le classi meno abbienti?
Per quelle famiglie, circa 600mila, che vantano un patrimonio finanziario superiore ai 500mila euro, la crisi non si è fatta sentire, e nel corso di questi anni il patrimonio è addirittura cresciuto. Come si legge nell’ultimo Bollettino della Banca d’Italia, la ricchezza delle famiglie: “La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza indicano che alla fine del 2010 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 9,4 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva il 45,9 per cento della ricchezza complessiva”.
Dal centrosinistra giunge così la proposta di aumentare il carico fiscale sui patrimoni immobiliari sopra gli 1,3 milioni di euro per alleggerire l’Imu sotto la soglia dei 500 euro (con cifre che oscillano e variano spesso, anche se di poco rispetto a queste), mentre Sel propone una tassazione dell’1,5% sui patrimoni del 10 per cento più ricco della popolazione. Ingroia è per la tassazione dei grandi patrimoni e per l’abolizione totale dell’Imu sulla prima casa. Monti sembra essere sulla linea dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa e per nulla favorevole alla patrimoniale, così come contro l’Imu sulla prima casa è il centrodestra compatto.
Il dibattito rimane aperto, anche perché sulla patrimoniale i pareri sono i più diversi, tra chi la considera estremamente dannosa e basata sul principio dell’una tantum, spesso in precedenza male utilizzato, e chi invece non ci vede lo spauracchio di un ritorno alla lotta di classe, quanto piuttosto l’assunzione di responsabilità da parte dei ceti più abbienti, nel nome dell’equità sociale e della possibilità di investire in sviluppo. In mezzo rimane la crisi, e il numero di famiglie con una ricchezza netta negativa, che “alla fine del 2010 era pari al 2,8 per cento, in lieve ma graduale crescita dal 2000 in poi”, sempre secondo il Bollettino Bankitalia.