Moltissimi dipendenti si trovano a dover lavorare con un cattivo capo: quello della badbossology è un fenomeno in aumento, peraltro in maniera preoccupante, analizzato da diversi studi, tramite cui ne sono emerse le tipologie e le caratteristiche che solitamente contraddistinguono tale tipo di boss.
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Il cattivo capo solitamente comunica in maniera confusa ed è oggi in aumento la percentuale di coloro che utilizzano esclusivamente Internet – e dunque email, messaggi condivisi e via dicendo – per comunicare qualcosa ai propri dipendenti. Una comunicazione di tale tipo sta diventando un grosso ostacolo per la comprensione.
Troppi manager non sanno gestire bene il proprio personale, lo sovraccaricano di lavoro e danno maggiori responsabilità a dipendenti meno preparati. Questo perché non hanno una buona visione delle capacità di ognuno e sentono il bisogno di spingere su ogni fronte per ottenere una massima produttività. Ma in questo caso, il rischio di fallire un progetto è davvero molto alto.
C’è poi il micromanager, che ha problemi di delega e quindi controlla continuamente l’operato dei propri dipendenti, mettendoli sotto una pesante pressione. Manca qui la fiducia e il rapporto capo-dipendente viene così a distruggersi giorno dopo giorno. C’è anche il bullo, ovvero quel capo non disposto ad accettare un modo di lavorare diverso dal suo, nonché il sabotatore, che raramente riconosce meriti e anzi solitamente tende a prendersi meriti altrui.
Infine, ci sono i “manager a sorpresa“, ovvero quelli che non sono prevedibili e alternano giornate di grande produttività e collaboratività a giornate lavorativamente piatte. Secondo gli studi, le cause della badbossology sono da attribuirsi a “sette peccati capitali” perpetrati dai cattivi manager, che sarebbero: pigrizia, avidità, gelosia, gola, orgoglio, ira e lussuria.
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