Un manager può avere un compenso inferiore a quello di un impiegato che percepisce il tetto massimo, se vi sono determinate condizioni. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 21145/12, eccone i dettagli.
La vicenda è nata quando un Tribunale italiano ha condannato una società che opera nel settore delle autolinee a pagare una somma di oltre 51 mila euro come compenso per l’attività svolta dall’amministratore unico della stessa società. Ma c’è stata un’interpretazione errata dello statuto anche da parte dei giudici competenti e per tale motivo l’amministratore si è rivolto alla Corte di Cassazione.
A suo parere, la parte dello statuto mal interpretata è quella in cui era previsto, a suo favore, un compenso non superiore a quello di un impiegato di prima categoria con maneggio denaro che il CCNL prevede per le aziende che operano in tale settore. Per tale motivo, «visto il chiaro tenore letterale della norma», il ricorrente lamentava la mancata applicazione della retribuzione oraria proporzionata alla quantità e alla qualità della sua prestazione professionale.
La Cassazione ha interpretato correttamente lo statuto spiegando che tale riferimento «costituisce soltanto il tetto massimo oltre il quale non deve collocarsi il compenso dell’amministratore unico e non già una precisa predeterminazione del compenso dovuto». Di conseguenza sono stati respinti tutti i motivi del ricorso, con la conseguente condanna della parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità.
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