Gestire al meglio il personale non rappresenta una dote comune ai CEO, poco abili nel creare ottimi rapporti con i propri dipendenti: lo afferma uno studio condotto dalla Graduate School of Business di Stanford che ha interpellato 160 Amministratori Delegati e altre figure dirigenziali appartenenti ai vertici di numerose di grandi aziende pubbliche e private.
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La ricerca, infatti, ha evidenziato come la maggioranza dei direttori generali ritenga insufficienti le competenze dei CEO in materia di mentoring e valorizzazione delle risorse umane, e come questa carenza rappresenti un rischio per le stesse aziende.
Secondo lo studio ciascun CEO dovrebbe incanalare parte della sua energia verso lo sviluppo delle risorse umane e la comunicazione con le persone presenti in azienda, tuttavia a monte di questo comportamento dovrebbe verificarsi un netto cambiamento nelle aspettative degli stessi direttori generali: il 70% dei direttori, infatti, mette in cima alle qualità dei CEO la spiccata capacità decisionale, mentre solo il 27% evidenzia qualità come l’empatia e l’abilità nell’ascoltare le esigenze del personale.
Ammonta al 23%, inoltre, la percentuale di intervistati che considera gli Amministratori Delegati in grado di risolvere i conflitti tra i dipendenti e dotati di buone capacità di ascolto. Nonostante gran parte dei vertici aziendali coinvolti nello studio sostenga che il processo di valutazione di un CEO debba basarsi sia sulle caratteristiche delle performance finanziarie sia sulle qualità che esulano da questo ambito, la realtà dei fatti è ben diversa.
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«Purtroppo, la verità è che il processo di valutazione dei CEO non è che equilibrato. Nonostante si parli tanto di responsabilità sociale delle imprese, le aziende sono ancora indietro quando si tratta di sviluppare parametri validi e affidabili in materia di performance non finanziarie.»
Così afferma Stanford David Larcker, co-direttore del Center for Leadership Development che ha preso parte alla ricerca.