Ha da poco festeggiato il suo primo anno “italiano” (si festeggia la sede milanese) e il raggiungimento della quota di quattro milioni di iscritti del Belpaese, con un incremento di un milione di iscritti negli ultimi dodici mesi. Eppure, il social network professionale LinkedIn, a dispetto dei dati internazionali che lo vogliono come primo strumento in assoluto per il reperimento di candidati, non convince del tutto i recruiters italiani, risultati piuttosto scettici secondo i dati di una ricerca firmata Robert Half.
Il 77% dei manager di aziende italiane esprime infatti perplessità circa la credibilità dei dati pubblicati online dai possibili candidati, e come spesso accade nel nostro paese, che stenta nell’abbraccio delle nuove tecnologie, preferisce affidarsi a metodi più tradizionali per scremare i candidati alle offerte di lavoro, ovvero il “vecchio” invio del curriculum in risposta a posizioni aperte dalle aziende.
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La ragione di questa ritrosia sta tutta, a detta dei manager intervistati, nella mancanza di un sistema di verifica delle informazioni pubblicate e nella mancanza di regolari aggiornamenti dei profili, che garantirebbero la freschezza delle informazioni pubblicate.
«Nonostante la popolarità dei professional network, le aziende sembrano ancora preferire i cv tradizionali in quanto considerati più precisi e affidabili», l’analisi di James Sayer, director di Robert Half Central Europe & The Middle East, che prosegue parlando del social network professionale e della necessità di spendervi il giusto tempo per gli aggiornamenti: «Oltre ad essere un eccezionale strumento di networking, utile per costruire collegamenti e relazioni, LinkedIn è sempre più utilizzato dalle aziende e dagli uffici del personale come fonte di recruiting. E’ essenziale curare e gestire la propria reputazione online assicurandosi che il proprio profilo sia completo e includa le informazioni più appropriate».