Colloquio di lavoro: mettersi nei panni del candidato

di Anna Fabi

Pubblicato 29 Agosto 2013
Aggiornato 18 Febbraio 2020 15:00

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Il fine del colloquio è trovare il candidato migliore, non quello perfetto: ecco perché il recruiter deve mettersi nei panni del nuovo assunto.

Anche i più esperti recruiters sono stati, almeno una volta, candidati in ansia prima di sostenere un colloquio di lavoro. Spesso, tuttavia, passando al di là della scrivania e vestendo i panni del responsabile del personale ci si dimentica delle sensazioni provate come aspiranti neo assunti.

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Evitando di mettersi nei panni dei candidati, tuttavia, si rischia non solo di non mettere a suo agio il potenziale nuovo dipendente ma anche di perdere obiettività e limitare la propria capacità di giudizio. Quali sono gli errori più comuni compiuti da un recruiter? Ecco una breve ma esaustiva rassegna:

Lasciare aspettare troppo un candidato dimenticandosi di una qualità fondamentale e ricercata anche in una nuova risorsa: la puntualità.

Indagare sulla “storia” del candidato senza condividere informazioni sull’azienda, evitando di rispondere alle sue domande riguardo le aspettative del datore di lavoro o le possibilità di carriera.

Non informare i candidati sull’esito del colloquio, positivo o negativo che sia.

Indagare sulle retribuzioni precedenti senza tirare in ballo alcuna stima del possibile compenso offerto: non si tratta di segreti di Stato ma di informazioni che è necessario trattare in sede di colloquio.

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Ricercare la perfezione trovando sempre qualcosa di sbagliato in ogni candidato(il fine del colloquio è scegliere il candidato migliore per un determinato posto, non scovare il candidato perfetto). La rosa delle competenze richieste può essere circoscritta alle qualità indispensabili per iniziare un nuovo rapporto di lavoro (non solo studi adeguati e formazione ma anche entusiasmo e capacità di lavorare in team). Tutto il resto può essere generalmente acquisito in sede.