La classe dirigente italiana si scopre molto meno istruita dei colleghi europei, dove in media i manager in possesso di una laurea o di un titolo superiore sono il 40% del totale. In Italia, dove spesso l’accesso ai posti che contano è garantito più dal giusto posizionamento che non dal supporto di un curriculum ad hoc, siamo fermi a quota 15%, mentre come spiega Andrea Cammelli, direttore del consorzio interuniversitario AlmaLaurea: «i dati Eurostat segnalano che nel 2010 ben il 37% degli occupati italiani classificati come manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 19% della media europea a 15 e il 7% della Germania».
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E a conferma della specialità della situazione italiana, molto chiare le parole di Renato Cuselli, presidente dell’associazione Management Club e di Fondirigenti, che nella presentazione del settimo “Rapporto generale sulla classe dirigente” scrive: «L’Italia è il paese dove le “conoscenze giuste” più che le competenze appropriate restano tra i principali elementi di accesso al mercato lavoro e alle possibilità di carriera, specie per le posizioni di maggiore responsabilità [il 30% degli italiani trova lavoro tramite amici e parenti], dove il differenziale di reddito tra lavoratori istruiti e meno istruiti è ai livelli più bassi tra i partner comunitari, dove si investe poco e male in capitale umano. Tutto ciò causa inevitabili ricadute negative in termini di efficienza, competitività ed equità per l’intero sistema».
Una questione che si ripercuote anche sulle assunzioni, visto che come nota Cammelli: «Un manager laureato, come sottolinea anche uno studio di Bankitalia, tende ad assumere altri laureati. Mentre il dirigente meno istruito in genere diffida di quelli più preparati di lui». Una questione che va affrontata, per evitare da un lato che i nostri professionisti ben preparati cerchino fortuna all’estero, e dall’altro per sanare una situazione capace di incidere pesantemente sulla competitività dell’intero sistema.