Sempre più responsabili delle risorse umane utilizzano test della personalità per testare i candidati ed effettuare una scrematura iniziale durante i colloqui di lavoro, facendo emergere i talenti più qualificati e dotati. Una pratica ormai diffusa non solo nei grandi gruppi ma anche nelle piccole e medie imprese che, tuttavia, può nascondere non poche insidie.
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Attitudine al lavoro in team, capacità di leadership e di sopportare ritmi di lavoro frenetici e stress, nonché abilità nella vendita. Queste sono solo una parte delle caratteristiche analizzate dai recruiters alle prese con la selezione del personale ma non sempre informati su alcune regole base da rispettare in materia di privacy e trattamento dei dati personali forniti dai candidati.
Il test non deve contenere, infatti, domante inerenti le opinioni politiche, religiose o sindacali così come l’orientamento sessuale, informazioni considerate irrilevanti in un simile ambito e, soprattutto, potenzialmente discriminatorie.
Perché il test sia veramente efficace, inoltre, è necessario assicurarsi che il candidato non menta o si consulti con qualcuno prima di rispondere, evitando così di dare risposte sincere e veritiere: attenzione anche a coloro che modificano una risposta, indice di troppa impulsività e poca attenzione.
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Non tutti i questionari mirati a far emergere la personalità esistenti, infine, sono adatti per la selezione del personale. Tra i più accreditati, ad esempio, figura il metodo dei Big Five (cinque temperamenti, estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale, declinati in sei sottodimensioni).