Non ci sono scuse. Giocare al pc in orario di lavoro porta direttamente al licenziamento. Lo afferma una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione che sottolinea come un tale comportamento sia del tutto ingiustificabile.
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La sentenza riguarda un dipendente di un’azienda farmaceutica licenziato perché sorpreso a usare il computer dell’ufficio per finalità ludiche, un’attività che sembrerebbe aver sottratto al lavoro quotidiano ben 300 ore nell’arco di un anno.
Non è tuttavia l’ammontare dei minuti passati a giocare al pc a rappresentare l’effettiva causa del licenziamento, infatti la Cassazione ha sottolineato come una volta emerso il comportamento scorretto del dipendente, il datore di lavoro non sia tenuto a contestare ogni singola ora persa (una precisazione resasi necessaria per respingere il ricorso dello stesso impiegato, al quale l’azienda non aveva contestato una serie di episodi specifici ma solo una condotta ritenuta poco consona al ruolo svolto in ufficio).
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«L’addebito mosso al lavoratore non può essere ritenuto generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore.»