Anche il tempo impiegato per indossare una divisa o una qualsiasi tenuta da lavoro deve essere retribuito: lo ha stabilito la Corte di Cassazione sottolineando come il datore di lavoro sia tenuto a versare un compenso aggiuntivo al lavoratore relativo ai minuti dedicati alle operazioni di vestizione e vestizione.
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Un tempo quantificabile in una decina di minuti, definito anche “tempo tuta”, che deve tuttavia prevedere la supervisione del titolare tenuto a disciplinare sia il luogo di esecuzione sia l’intervallo temporale.
La sentenza n. 2837 del 7 febbraio 2014, precisa che la retribuzione relativa al “tempo tuta” non sia specificata all’interno del contratto collettivo di categoria proprio perché riguarda una fase preparatoria al lavoro che è comunque esigibile da parte dal datore di lavoro.
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La Corte Suprema motiva la sentenza specificando la necessità di retribuire questo lasso di tempo in virtù del suo «carattere necessario e obbligatorio per l’espletamento dell’attività lavorativa, e lo svolgimento sotto la direzione del datore di lavoro. Una diversa regolamentazione di tale attività non poteva essere ravvisata, sul piano della disciplina collettiva, dal “silenzio” delle organizzazioni sindacali sul problema del “tempo tuta”, né da accordi aziendali intervenuti per la disciplina delle pause fisiologiche.»