Una delle proposte contenute nel disegno di legge sulla riforma dei contratti di lavoro presentato dal governo e approdato in Parlamento prevede l’introduzione di un salario minimo orario garantito a tutti i lavoratori per legge. L’iter del provvedimento è lungo (il ddl prevede specifiche deleghe al governo, che poi avrà sei mesi di tempo per esercitarle) ma in attesa dell’eventuale introduzione in Italia vediamo quali sono le norme europee in materia.
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Si tratta di uno strumento previsto in 21 Stati dei 28 che compongono l’Unione europea: Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. Ci sono casi in cui l’importo minimo è fissato dalle leggi, altri in cui ci sono accordi di categoria. In media, dove previsto, il livello minimo di retribuzione assicurato per ora lavorata si applica a tutti i lavoratori dipendenti, comprensivo di contributi.
Una breve mappa: il minimo più basso in Romania, 157 euro al mese, i più alti in Lussemburgo, 1800 euro al mese, e Belgio, 1500 euro al mese. Con cifre inferiori a 500 euro ci sono Bulgaria, Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Croazia, Bulgaria e Turchia. Trattamento minimo fra 500 e mille euro al mese in un gruppo ristretto di paesi: Spagna, Portogallo, Grecia, Slovenia. Sopra i mille euro al mese gli stipendi garantiti negli altri paesi: si va dai 1.200 euro del Regno Unito, ai 1.400 di Irlanda, Olanda, Francia, ai già citati Belgio e Lussemburgo.
“Deve essere possibile poter adeguare in misura sufficiente i minimi salariali, con il coinvolgimento delle parti sociali, per rispecchiare gli sviluppi economici globali. In tale contesto salari minimi differenziati, già d’applicazione in diversi stati membri, possono essere un mezzo efficace per sostenere la domanda di manodopera”.
Insieme all’Italia, a non prevedere alcuna forma di salario minimo sono Austria, Danimarca, Germania, Finlandia e Svezia, tutti paesi in cui le retribuzioni sono fissate da contratti collettivi o aziendali. Da segnalare che la Germania ha in programma l’introduzione del salario minimo dal gennaio 2015 (8,5 euro all’ora).
Quello del salario minimo, e della sua efficacia sull’economia e sul mercato del lavoro, è un dibattito aperto fra gli economisti. Secondo Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro dell’Università Bocconi, che ne parla nel videoblog #DirittiAlLavoro, sul canale YouTube dell’ateneo, il problema di fondo è rappresentato da dove si fissa l’asticella del salario minimo. Se è troppo bassa, il salario minimo non serve. Se è troppo alta, c’è il rischio disincentivo sulla contrattazione collettiva, con il contratto collettivo superato dallo stesso salario minimo. Esistono teorie secondo cui il livello sopra il quale non c’è un equilibrio virtuoso fra benefici ed effetti negativi del salario minimo è il 60% della salario medio percepito sul mercato per la relativa mansione. In pratica, in un paese in cui il valore medio di mercato del salario è intorno ai 10 euro l’ora, il salario minimo non può arrivare a 6 euro. Con l’esclusione della Francia, che ha un salario minimo pari al 61% dello stipendio medio, in genere nei paesi in cui è applicato corrisponde a una percentuale inferiore al 50%: 47% in Olanda e Regno Unito, 44% in Spagna, 42% in Lussemburgo, 38% in Giappone e negli Stati Uniti.