Una legge ancora immatura non tutela da chi semina odio sul web e troppo spesso si assiste a campagne di diffamazione che prendono piede danneggiando la reputazione di singoli individui come di intere aziende.
In questo clima di stampo medioevale però arriva una sentenza della Cassazione a dare un piccolo segnale di speranza. La querelle si svolge intorno ad un maresciallo della Guardia di Finanza reo di aver diffamato un collega di lavoro. Ma le accuse non sono cadute nel vuoto e il diffamato ha deciso di far valere le proprie ragioni. Per la prima volta la legge ha deciso di tutelarlo nonostante non fosse stato fatto direttamente il suo nome. Una novità che costituisce un importante precedente.
=> Scopri come combattere i troll
La Cassazione ha infatti stabilito che è «diffamazione parlar male su Facebook» di qualcuno «anche senza fare nomi». Inoltre «Ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa» e basta «la volontà che la frase venga a conoscenza anche soltanto di due persone».
Importante passo avanti di cui devono tener presente i social media manager e i vertici aziendali in generale. I troll possono davvero danneggiare un marchio e potersi difendere diventa fondamentale per gestire in maniera limpida la comunicazione digitale.