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Il futuro della comunicazione aziendale

di Massimo Furia

16 Gennaio 2008 09:00

In questa intervista esclusiva, il professor Vito Di Bari fa luce sui nuovi scenari della comunicazione che si dischiudono dinanzi alle PMI, tra Web 2.0 e virtualizzazione

Tra i maggiori esperti al mondo di comunicazione, opinionista del Sole 24 ore, Vito Di Bari insegna “Progettazione, Gestione e Innovazione dei Sistemi” alla Facoltà di Ingegneria dei Sistemi del Politecnico di Milano e “Corporate Image” all’Università Bocconi. È Innovation Designer della candidatura italiana all’Esposizione Universale del 2015. Abbiamo parlato con lui in un’intervista esclusiva dello stato dell’arte della comunicazione aziendale via Internet (e non solo) per quanto riguarda il panorama delle pmi italiane. Ecco che cosa ci attende e a che cosa dovremmo essere pronti.

Come descriverebbe il panorama attuale della comunicazione aziendale attraverso (ma non solo) internet? Le aziende sono riuscite a capire appieno il valore dei nuovi strumenti e canali di comunicazione?

Non del tutto. Perché tutto ciò che è nuovo viene in genere prima acquisito e digerito per le sue manifestazioni più superficiali. Le aziende stanno piano piano familiarizzandosi oggi con le nuove tecnologie del Web, ed ecco che tutti iniziano a parlare del suo stadio successivo, il Web 2.0. Il passo dell’innovazione si è fatto più rapido e questo non aiuta certo chi decide di restare a osservare. Ma aiuta invece, e tanto, chi decide di capire a fondo il fenomeno. In particolare, le PMI…

Su che cosa dovrebbe puntare maggiormente la PMI dal punto di vista dell’utilizzo efficace del Web? Se di coraggio si può parlare, per che cosa le PMI italiane dovrebbero avere più coraggio?

Da sempre scrivo, e ripeto, che le PMI italiane sono uno degli esempi di coraggio meglio espresso e peggio rappresentato. Sono fra i soggetti più coraggiosi che conosco, i nostri imprenditori, anche se spesso se ne dà una visione non troppo positiva. Perché? Perché – come ben chiarisce lo studio appena pubblicato dal Censis e Confartigianato, l’innovazione in Italia la si fa, tanto e bene, dentro le PMI. Ma poiché manca una struttura sistemica di supporto, di questa innovazione non si parla, perché diventa subito patrimonio delle PMI e della loro attività professionale. Segno che le PMI sono molto brave a muoversi in un mare di pescecani internazionali, senza supporto del proprio Paese, e a raggiungere pure i risultati.

Il Web è solo uno degli aspetti di questa corsa all’innovazione. Si consideri che dallo studio del Censis sono più gli investimenti di information technology più in generale ad essere premiati dalle PMI italiane. Che si dimostrano molto più smaliziate su questo tema di quanto non si potrebbe pensare. Il Web è stato fino ad oggi un elemento scorporato dalla vita vera d’impresa: è stato, nel tempo, una vetrina, un punto vendita arrangiato in modo grezzo, un catalogo prodotti.

Ma la vera novità di questi anni recenti è che finalmente del Web sia gli utenti che le imprese stanno iniziando a capire la vera essenza, che non è quella di esserci (i siti-vetrina, li ricordate?) ma quella di incontrarsi e scambiare (dati, affetti, parole, documenti). È l’essenza di quello che viene chiamato Web 2.0, un Web basato sulle relazioni fra le persone. In questa nuova concezione del Web è evidente che le PMI possono puntare su un dialogo più diretto con i propri clienti e fornitori, e quindi sulla possibilità di abbattere costi prima inevitabili. Come quelli derivanti dall’incontrarsi in modo costante, attività ora in parte virtualizzabile.

È solo un esempio delle enormi potenzialità aperte dal Web 2.0 per le PMI. Quello che manca, spesso, è una visione strategica del Web, che lo veda come uno degli asset centrali per la propria attività: il Web può essere, al contempo, punto vendita, gestione della produzione, relazione con i fornitori, analisi del mercato, mezzo di dialogo con i clienti, sistema di verifica della qualità del prodotto. E via dicendo. Solo mettendolo al centro dei processi aziendali lo si riuscità a far lavorare per la propria azienda.

Che cosa vede nel futuro della comunicazione aziendale delle imprese? Quali crede che saranno le prossime trasformazioni inevitabili a cui andremo incontro?

Principalmente, vedo un profondo cambiamento nella direzione della virtualizzazione. Parlo di un orizzonte da qui a 15 anni. Considerate che la connettività di rete diventerà progressivamente una commodity. In un’epoca di connessione permanente e a banda larghissima (ad esempio, di alcuni terabyte) l’esperienza dei contenuti digitali in rete sarà molto simile a quella dell’essere fisicamente presenti in una stanza.

Cisco che ha lanciato il suo progetto di teleconferenza avanzata racconta che spesso durante i lunghi meeting fra manager che stanno da una parte e dell’altra dell’Oceano, le persone “dimenticano” di non essere nella stessa stanza e tentano di passarsi oggetti attraverso lo schermo. Perchè la qualità delle immagini e la loro dimensione è tale che l’interlocutore che ho di fronte è grande quanto me, nitido quanto il mio vicino di scrivania e la sua voce mi arriva chiara e cristallina.

L’adevertising online prenderà veramente il posto di quello offline?

Ne prenderà il posto, sì, ma sarà nel frattempo cambiata la natura di ciò che intendiamo per “online”, nel frattempo. È un processo che avverrà in due stadi. Il primo stadio prevede il trasferimento di maggiori budget verso le forme di advertising online; questo processo, che è già in corso e proprio quest’anno ha visto i primi grandi budget delle multinazionali pendere per la prima volta con largo favore verso l’online a scapito della comunicazione su media tradizionali, è un fenomeno importantissimo da capire.

Lo ripeto lezione dopo lezione ai miei studenti del Laboratorio di Cross Media all’Università Bocconi, che imparare a padroneggiare questi strumenti oggi diventerà una chiave vincente per ogni professionista della comunicazione nei prossimi 3-5 anni. E non sono solo io a dirlo, ma anche le grandi agenzie pubblicitarie che stanno correndo ai ripari, recruitando professionisti che sappiano progettare per il Web in modo accorto e maturo.

Nell’ultimo libro, in uscita per il Sole 24Ore a dicembre, dal titolo “Web 2.0”, che ho coordinato, e che prevede la diretta testimonianza dei 46 esperti italiani e internazionali più quotati nel fare comunicazione nel Web, ho addirittura coniato un Decalogo dell’Advertising 2.0. Perché vedo troppi professionisti smarriti di fronte a questa evoluzione e troppe aziende non in grado ancora di valutare se i propri investimenti nel Web hanno senso – in termini di business – oppure no. E allora, alcune regole, che derivano dalla mia esperienza e dalle opinioni scambiate con i principali opinion leader del Web, forse ci aiuteranno a passare il guado dall’advertising tradizionale a quello 2.0, di nuova generazione.

Dicevo che prevede due stadi. Il secondo lo vedo un po’ più in là nel tempo, diciamo entro il 2020. Quando tutto sarà online, anche il mio gatto e la sua ciotola del cibo. Non esagero, le previsioni che anticipo nell’ultimo capitolo del libro si basano infatti su una serie di tecnologie già presenti, al momento allo stadio di sviluppo nei laboratori di innovazione di tutto il mondo, con cui ho costanti contatti per studiare come andrà il mondo. Entro il 2020 tutto sarà online, la connettività non sarà più percepita come un plus, come lo è oggi, ma come un dato di fatto.

Come oggi lo è l’aria o l’acqua. E allora, l’advertising sarà per forza di cose, tutto online. Solo che si manifesterà sempre più attraverso oggetti fisici, interattivi, collegati in rete. Come ad esempio personaggi virtuali che ci accoglieranno nei punti vendita e ci consiglieranno cosa acquistare e perché. Sembra fantascienza, ma non lo è. Avreste immaginato 10 anni fa di acquistare un libro in una libreria californiana dal vostro salotto senza bisogno di un telefono e senza dover inviare denaro?

Le figure professionali legate alla comuncazione online come cambieranno? Cosa deve diventare un Marketing Manager del prossimo futuro?

Il Marketing Manager deve dotarsi già oggi di un insieme di conoscenze che gli permettano di superare brillantemente questo importante guado che ci conduce verso una versione aggiornata della comunicazione d’impresa, l’epoca del 2.0. Al di là delle etichette e dei termini, che potrebbero ridurre la portata epocale dei cambiamenti in atto, ricordiamo che – come diceva il quanto mai attuale Cluetrain Manifesto – “i mercati sono conversazioni”. In tal senso, più che affinare le proprie tecniche di come comunicare al pubblico, è il momento di iniziare a sviluppare quelle di dialogo (quindi, una comunicazione necessariamente a due vie, in cui la funzione di ascolto è ormai preponderante rispetto a quella di emissione di messaggi).

Considerate Ducati che dialoga con un proprio blog giorno per giorno con i propri appassionati sparsi in tutto il mondo. O Coa Cola che crea un social network per fare interagire i ragazzini in un mondo virtual brandizzato dal colosso di Atlanta. Sono lezioni importanti. Parlare e spiegare restano importanti, per ogni brand e per ogni azienda, ma non bastano più. Su queste skills ogni Marketing Manager dovrebbe indirizzare la propria formazione professionale dei prossimi anni. In quell’arena si giocherà la battaglia vera, quella che conterà in termini di risultati finanziaria dell’azienda.

Pensate forse che potrete evitare a lungo fenomeni di “dialogo fra i vostri clienti” come quelli che i social network abilitano? È sufficiente fare un click e sapere cosa ne pensano centinaia di persone, del vostro prodotto. E allora, ogni vostro messaggio pubblicitario sarà inutile anche se ben realizzato, di fronte alla fiducia che ogni consumatore ripone nei suoi “peer”, negli altri consumatori.