Una nuova ricerca contribuisce a rendere meno pesante il senso di colpa che, inevitabilmente, accompagna le madri lavoratrici: portare avanti la carriera non solo non determina una qualsivoglia “carenza” per la prole, ma aiuta a crescere figli maschi più empatici e coinvolti nella vita familiare, così come figlie femmine dotate di maggiori potenzialità in ambito professionale, e retributivo.
=> CEO donne e maternità
Lo studio, firmato da Kathleen McGinn e altri ricercatori della Harvard Business School, si è basato sull’analisi dei risultati di alcuni studi portati avanti tra il 2002 e il 2012 e sulle informazioni tratte dall’ “International Social Survey Programme”.
L’attenzione degli studiosi si è focalizzata sulla diseguaglianza di genere all’interno dell’ambiente familiare più che sul lavoro: stando agli esiti della ricerca, la presenza di una madre che lavora fuori casa sembra non avere alcun effetto sul reddito dei figli maschi diventati adulti, ma al contrario influisce positivamente sul reddito delle figlie femmine (superiore a quello che caratterizza le coetanee cresciute da madri casalinghe).
Gli uomini le cui madri lavorano fuori casa (senza prendere in considerazione le ore effettive o la modalità, part-time o full-time) sono invece più propensi a contribuire alla faccende domestiche, così come alla cura dei membri della famiglia.
«C’è un grande senso di colpa quando entrambi i genitori lavorano fuori casa – ha affermato Kathleen McGinn. – Ma ciò che questa ricerca ci dice è che non solo si sta aiutando la famiglia economicamente e supportando se stessi professionalmente ed emotivamente se si svolge un lavoro che si ama, ma si sta anche agevolando la prole. Quindi penso che sia per le madri sia per padri, il lavoro svolto sia all’interno che all’esterno della casa dia ai figli un segnale chiaro: i contributi offerti a casa e al lavoro sono ugualmente preziosi, per gli uomini e le donne.»