L’atteggiamento dimostrato nei confronti del lavoro e della carriera dipende da tanti fattori, dalla personalità individuale e dalle ambizioni, tuttavia per comprenderne le radici è necessario ripensare ai propri genitori e al loro modo di approcciarsi al mondo professionale.
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In altre parole, se – ad esempio – durante l’infanzia si assisteva spesso agli sfoghi di uno dei due genitori totalmente insoddisfatto del suo lavoro, è probabile che da adulti si tenda a concepire il proprio impiego come meramente finalizzato al guadagno senza farsi guidare dalla passione e dal desiderio di realizzare qualcosa di utile.
Lo afferma un nuovo studio promosso dalla University of Michigan e da due ricercatori in particolare, Wayne Baker e Kathryn Dekas, che hanno voluto indagare sulle origini dell’orientamento al lavoro di ciascun individuo, distinguendo tra tre “approcci” differenti basati su stimoli e obiettivi diversi: lavoro fine a se stesso, lavoro proiettato alla carriera o, infine, vera e propria vocazione.
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Secondo gli studiosi, inoltre, i padri tendono ad avere maggiore influenza delle madri sui figli che vedono il lavoro come uno strumento finalizzato al potere e all’avanzamento di carriera.