Denunciare il datore di lavoro: i rischi

di Teresa Barone

3 Ottobre 2017 14:00

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Chi denuncia il capo per presunti illeciti non rischia il licenziamento anche in caso di assoluzione.

È facoltà del dipendente segnalare sospetti illeciti compiuti dal datore di lavoro, ma quali rischi si corrono e cosa potrebbe succedere se le accuse mosse al capo decadono completamente?

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulle conseguenze di un simile comportamento, sottolineando come anche qualora le accuse si rivelino infondate il dipendente non può essere licenziato.

L’unico motivo che potrebbe portare al licenziamento del lavoratore che denuncia il datore di lavoro riguarda una sua eventuale malafede: ogni sospetto illecito deve essere segnalato, purché le accuse non siano inventate e non sia compromesso il rapporto di fedeltà con l’azienda.

La sentenza 22375 del 2017, infatti, mette in evidenza come la denuncia non debba avere carattere calunnioso e come l’obbligo di fedeltà del lavoratore non venga violato per scongiurare il rischio di licenziamento.

«Proprio la presenza e la valorizzazione di interessi pubblici superiori porta ad escludere che nell’ambito del rapporto di lavoro la sola denuncia all’autorità giudiziaria di fatti astrattamente integranti ipotesi di reato, possa essere fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, fatta eccezione per l’ipotesi in cui l’iniziativa sia stata strumentalmente presa nella consapevolezza della insussistenza del fatto o della assenza di responsabilità del datore. Perché possa sorgere la responsabilità disciplinare non basta, infatti, che la denuncia si riveli infondata e che il procedimento penale venga definito con la archiviazione della “notitia criminis” o con la sentenza di assoluzione, trattandosi di circostanze non sufficienti a dimostrare il carattere calunnioso della denuncia stessa.»

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