Dalla Cgia di Mestre arriva un ritratto sconfortante del precariato in Italia, che coinvolge sempre di più la pubblica amministrazione: su 3.315.580 precari che lavorano nella penisola, infatti, uno su tre ha come datore di lavoro un ente pubblico, soprattutto nelle Regioni del Sud.
Secondo le stime della Cgia, infatti, cresce la concentrazione di lavoratori precari nella pubblica amministrazione, dei quali il 46% è in possesso del diploma di scuola media superiore, il 39% ha solo la licenza media e il 15,1% è laureato, una percentuale senza dubbio esigua. Lo stipendio base per un precario è pari a 927 euro per gli uomini, cifra che si abbassa fino a 759 euro per le donne.
Per quanto concerne il pubblico impiego, i dati della Cgia mostrano come tra i settori più densi di lavoratori precari in attesa di assunzione definitiva figurino sia la scuola sia la sanità, infatti, complessivamente si contano 514.814 precari operativi nei servizi pubblici, mentre nel sociale ammontano a 477.299. Sono cifre destinate ad aumentare se si includono nel conteggio anche i dipendenti diretti della PA, quindi operativi all?interno dei Ministeri, delle Regioni e degli Enti locali.
Escludendo la PA, invece, i precari si concentrano soprattutto nelle aziende del commercio, nei servizi alle imprese e negli alberghi e ristoranti (337.379), mentre a livello regionale la classifica delle zone d?Italia maggiormente caratterizzate dal precariato è guidata dalla Calabria, seguita dalla Sardegna, Sicilia e la Puglia. Il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi ha sottolineato come la forte presenza di precari laureati sia in realtà un mito da sfatare, mentre la crisi dell?occupazione nel Paese sembra non essere circoscritta a una determinata qualifica o livello di istruzione.
«Il 38,9% del totale non ha proseguito gli studi dopo la scuola dell’obbligo. Questi dati smentiscono un luogo comune che identifica il precario in un giovane con un elevato livello di studio. Per questo è necessario pensare anche a questi lavoratori con un basso livello professionale che con la crisi rischiano di essere spazzati via dal mercato del lavoro.»