Internet rappresenta un’importante occasione di crescita, l’economia digitale fornisce un notevole contributo ma in Italia manca un intervento sistematico che apporti dei risultati tangibili, misurabili e ancora più efficaci. E’ quanto risulta dalla recente indagine commissionate dal Digital Advisory Group (DAG) neonato gruppo di lavoro formato da 30 organizzazioni con l’obiettivo di sviluppare tutte le aree tecnologiche che possono mettere in moto o far accelerare l’economia digitale in Italia. L’indagine intitolata “Sviluppare l’economia digitale in Italia: un percorso per la crescita e l’occupazione” è stata condotta da DAG con il supporto di McKinsey & Company.
Negli ultimi 15 anni l’economia digitale ha creato 700.000 posti di lavoro e contribuito al 2% del pil italiano, per una cifra di circa 30 miliardi di Euro. In Francia l’economia via web pesa oltre il 3%, mentre Regno Unito e Svezia oltrepassano il 5%. La previsione di sviluppo è quantificabile in un contributo fino al 4% del prodottointerno lordo italiano a patto però di rimuovere alcuni ostacoli tecnologici.
Secondo i dati, anche la creazione di nuovi posti di lavoro nell’ambito del web ha mostrato una crescita con un valore di 320mila unità, al netto degli impieghi persi. Questo significa che anche se alcuni posti di lavoro legati all’economia tradizionale vengono eliminati, la nuova economia digitale ne crea di più e quindi non deve essere fermata solo sulla base di un timore del tutto ingiustificato. In Italia il fattore di creazione vale 1,8, ma addirittura in Svezia vengono creati 3,9 posti di lavoro per il business digitale per ogni posto di lavoro tradizionale perso.
Molto sembra dipendere dal ruolo delle PMI: le aziende che utilizzano Internet in modo intensivo aumentano la capacità di evolvere ed esportare. Ben il 78% dell’impatto prodotto dall’utilizzo delle tecnologie digitali è riconducibile alle imprese tradizionali, mentre solo il 22% si riferisce ai “pure player”, quindi vuol dire che c’è ampio margine di sviluppo.
Infine il surplus di valore stimato per i consumatori sarebbe pari a circa 7 miliardi che corrisponde al valore attribuito dagli utenti internet ai servizi messi a disposizione gratuitamente dalla rete, una volta dedotti i costi associati a tali servizi. Questo si traduce in un risparmio equivalente di 21 euro mensili per famiglia connessa.
Il settore digitale è frenato da cinque ostacoli, fra cui la scarsa utilizzazione della pubblica amministrazione online. Ma vediamoli nel dettaglio:
- Lo sviluppo della banda larga: l’attuale rete italiana è sufficiente a garantire un utilizzo di Internet di base alla maggioranza della popolazione, ma la misura della qualità complessiva dell’accesso a Internet effettuata mediante il “Broadband Quality Score”, segna 27/100 e pone l’Italia al 40° posto tra 72 paesi analizzati. Un valore inadatto a supportare le principali applicazioni web contemporanee. Inoltre lo sviluppo della banda larga deve tenere conto delle zone attualmente non coperte che a marzo 2011 erano il 7,1% della popolazione italiana (4,3 milioni di persone).
- La scarsa propensione degli italiani verso l’e-commerce: gli utenti sono diffidenti verso le procedure di vendita online, e verso i pagamenti elettronici con una valutazione di scomodità anche nel sistema delle consegne. Le imprese invece forse a causa di vertici con poca familiarità con il web, non hanno una vera consapevolezza del potenziale internet, e inoltre si assiste a bassa flessibilità organizzativa e funzionale per strutturare un’efficace offerta Web. Infine sono registrati come ostacoli il peso della regolamentazione, l’incertezza normativa e le barriere linguistiche,
- E qui siamo alla Pubblica Amministrazione, con una divulgazione non ottimale dei servizi online: nonostante la crescita dell’offerta di servizi di E-gov negli ultimi anni, la percentuale della popolazione che ne fa uso rimane bassa e inferiore al 20%, rispetto a una media europea del 30% e di circa il 40% in Francia, Germania e Regno Unito. Questo sembra essere principalmente dovuto alla mancata conoscenza di ciò che è già disponibile online da parte delle PA.
- Alcuni limiti nel quadro normativo di riferimento, contraddistinto da un approccio troppo legato al singolo territorio, troppo rigido nei formalismi, e spesso riferito a tecnologie superate. Si rende necessario un quadro normativo armonico e orientato all’innovazione.
- Infine una carenza strutturale di competenze digitali, ovvero la mancanza di talenti digitali è sostanzialmente responsabile delle lacune osservate in Italia nell’implementazione dei servizi online, pubblici e privati. Manca la formazione di esperti e di conoscenze per favorire l’imprenditoria digitale. Per non parlare della fuga verso l’estero di cervelli e progetti che qui in Italia non riescono ad essere adeguatamente supportati.