Mobbing nella Pubblica Amministrazione, il dirigente e il bossing

di Stefano Gorla

9 Novembre 2011 10:00

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Mobbing, cosa prevede la pubblica amministrazione quando il mobber è un dirigente: in inglese, lo chiamano anche bossing. Le sentenze.

Si riscontra una condizione di mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di sopraffazioni da parte dei superiori e, in particolare, quando vengono poste in atto pratiche dirette ad isolarlo nell’ambiente di lavoro o ad allontanarlo. La conseguenza è che si incide gravemente sull’equilibrio psichico del dipendente, danneggiandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando disturbi e malesseri anche seri come la depressione.

Il termine mobbing deriva dalla lingua inglese, dal verbo to mob, traducibile con “aggredire, accerchiare, assalire in massa, malmenare”.

Definiamo Mobbing “verticale” il mobbing strategico operato dalle imprese per allontanare soggetti in qualche modo non desiderati. Ma possiamo anche riscontrare il bossing, operato da un diretto superiore per estromettere un lavoratore.

A sua volta il soggetto mobbizzato può essere coinvolto in un doppio mobbing quando anche la sua famiglia, in conseguenza del fastidio prodotto alla lunga dal suo comportamento di mobbizzato, si comporta in modo vessatorio nei suoi confronti. Ne può derivare a catena la compromissione dei rapporti parentali e relazionali, con un “danno esistenziale” al lavoratore mobbizzato.

Attraverso un’analisi peritale è possibile verificare la sussistenza o meno di un fenomeno di mobbing.

Resta in ogni caso a carico del lavoratore, in caso di mobbing, l’onere della prova ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro.

Con questo intervento si intende analizzare la relazione tra il mobber e la PA.

La recente sentenza della Corte dei Conti della Sicilia del 23 maggio 2011 ha visto soccombere un dirigente di un’amministrazione comunale condannato a ripagare parzialmente la somma che l’ente locale aveva dovuto impegnare per risarcire un dipendente mobbizzato dal dirigente. Già la Corte di Cassazione aveva stabilito, con sentenza n. 22858 dell’11.09.2008, che la condotta persecutoria deve manifestarsi nell’arco temporale di almeno un semestre. Nel caso specifico il dirigente è stato punito per il suo comportamento che aveva impedito la promozione di un impiegato.

A tal fine si può configurare l’azione persecutoria con la dequalificazione lavorativa prolungata. E a tal proposito i giudici contabili, riferendosi alla sentenza della Corte di Cassazione n. 18262 del 29.08.2007, hanno affermato che la giurisprudenza civilistica “riconosce spesso la responsabilità per condotta mobbizzante del datore di lavoro, non solo quale soggetto agente direttamente, ma anche per non essersi lo stesso personalmente attivato per far cessare i comportamenti scorretti dei dipendenti”.

Pertanto di fronte alla lamentela del dipendente, l’ente locale è stato assolto per quanto attiene alla struttura organizzativa del Comune, considerando che le decisioni nei confronti del dipendente potevano ritenersi “macroscopicamente lontane da una ordinaria condotta finalizzata alla sana gestione della cosa pubblica, al punto da incarnare una condotta gravemente colposa idonea a giustificare l’accoglimento delle pretese di parte attrice”.

Tuttavia per quanto concerne la dequalificazione, attuata attraverso una serie di azioni persecutorie, il ricorrente ha ottenuto l’accoglimento della sua richiesta.

A questa sentenza possiamo correlare quella della Corte dei conti, Sezione terza – 25 ottobre 2005, n. 623, relativa al mobbing di un dirigente scolastico nei confronti di taluni docenti.

Occorre premettere che spetta al dirigente scolastico promuovere il benessere organizzativo nella scuola, facendo in modo che non si verifichino fenomeni di mobbing e, più in generale, di conflitti interpersonali che causano stati di malessere psicofisico.

I giudici contabili, riconoscendo il risarcimento stabilito nella sentenza di condanna precedente pronunciata dal giudice del lavoro, stabiliscono che «rimane acclarata sia la sussistenza del danno morale e di quello da mobbing che quella della colpa grave, provate in atti, anche sulla base delle cospicue risultanze del processo penale e di quello civile».

La «sentenza di primo grado deve essere quindi riformata in parziale accoglimento dell’argomentato appello della Procura Generale per quanto concerne la rivalsa rispetto al danno risarcito in sede civile quale danno morale e da mobbing, rivalsa che deve essere riconosciuta ammissibile nei confronti dell’appellato».

Ne deriva una diminuzione patrimoniale per le risorse finanziarie dell’amministrazione interessata che non può non tradursi in un danno erariale.

In questo senso è stato riconosciuto il diritto di rivalsa del Miur nei confronti del mobber, per un importo equitativamente determinato.