Avrebbe utilizzato il cellulare assegnatole dalla sua amministrazione comunale, accumulando poco più di 300 euro di telefonate non direttamente collegabili allo svolgimento del suo lavoro. Per questa ragione, un’impiegata del comune di Verbania si è vista coinvolta da un esposto presentato dalla Lega Nord alla Procura della Repubblica.
Le indagini hanno preso il via sin dallo scorso anno quando l’impiegata aveva sostenuto (e sostiene tuttora) che quelle telefonate le aveva fatte per motivi di lavoro. Un danno tutto sommato contenuto, ma che conferma il cellulare come frequente oggetto di dispute nel capoluogo piemontese, circa l’uso delle dotazioni di servizio.
La scorsa primavera, ad esempio, l’ex vice sindaco di Verbania Marino Barassi, era stato condannato in primo grado, per il reato di peculato, a 18 mesi di reclusione (con richiesta di appello) per essersi connesso più volte ad internet con il cellulare di servizio. L’assessore all’urbanistica, Marco Paracchini, nel 2009, aveva invece pensato di non dotarsi di alcun dispositivo mobile per le telefonate, ma anche in quel caso, a Verbania, gli oppositori dell’assessore avevano avuto da ridire.
Trovarsi nell’indisponibilità di un telefono cellulare da utilizzare sul lavoro – secondo chi muoveva la critica – avrebbe aggravato i costi delle telefonate tra l’utenza fissa di Paracchini e quelle mobili, per le quali un contratto con un gestore di telefonia mobile avrebbe offerto tariffe agevolate.
Eccessi a parte, la tendenza a regolamentare l’uso delle dotazioni di servizio nei diversi contesti lavorativi è sempre più marcata ed è bene ricordare che una recente sentenza della Cassazione in merito all’utilizzo di dispositivi mobili in ufficio o sul lavoro, per scopi che esulino le attività lavorative, ha ritenuto valido il licenziamento di un dipendente che usava il cellulare aziendale per fini privati, dal momento che un tale comportamento compromette il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente.