«Vi chiediamo di astenervi da ogni attività giornalistica che non sia in coordinamento con questo Dipartimento e senza una autorizzazione esplicita», è l’avvertimento del Dipartimento per la stampa estera del ministero della Cultura e Guida islamica iraniano. Allo stesso tempo, un altro Dipartimento, quello del governo federale statunitense, ha chiesto ai suoi responsabili di proseguire le proprie attività in Iran.
Al centro della disputa c’è twitter, il celebre servizio di microblogging accessibile ovunque esista una connessione ad Internet e fatto di brevi messaggi inviati tramite web, messenger o sms. I due contendenti hanno una certezza comune: l’importanza e l’efficacia di questo nuovo mezzo di comunicazione. Twitter, in questo periodo, sta raccontando la grande storia delle contestazioni nel dopo voto in Iran e il suo successo è evidentemente collegato al fatto che lo stia facendo nel paese dove tutti gli altri organi di informazione sono oscurati e minacciati dal regime del premier Ahmadinejad.
Ieri, la società che ha sede a San Francisco e che eroga il servzio, ha rinviato (a furor di popolo) una manutenzione programmata dei suoi server per consentire a chi contesta la vittoria del presidente Mahmud Ahmadinejad di far sentire la sua voce. Eppure, secondo alcuni recenti “cinguettii”, le forze di sicurezza di Ahmadinejad sarebbero già all’opera per inquinare le conversazioni, fingendosi manifestanti loro stessi.
In questo momento, i tweet con gli ultimi aggiornamenti del dopo elezioni iraniano, per essere più facilmente identificabili, hanno tutti l’etichetta “#IranElection“, che risulta essere il “topic” più utilizzato su twitter negli ultimi giorni, seguito a poca distanza da “Teheran” e da “Iranians”. Le Guardie della Rivoluzione iraniana (Pasdaran) intanto stanno cercando di arginare il fenomeno minacciando di intervenire legalmente contro i mezzi di informazione online, se questi non rimuoveranno da siti e blog notizie o commenti che “alimentino le tensioni” scoppiate nel Paese dopo il controverso voto per le presidenziali.
I Pasdaran accusano molti di questi siti di essere “tecnicamente e finanziariamente sostenuti dagli Usa e dal Canada”. Intanto, nella notte, a Teheran, un professore universitario ed un giornalista, entrambi vicini al campo dei moderati, sono stati arrestati. Che twitter sia diventato il terreno decisivo nella battaglia comunicativa iraniana, lo dimostrano le dichiarazioni (sempre tramite twitter) del capo dell’opposizione iraniana Mirhossein Mousavi, che alle 16 di lunedì 15 giugno, nel suo account personale del servizio di microblogging scriveva: «Al momento twitter è la nostra UNICA possibilità per raccontare quello che succede in Iran. Per favore, non interrompete il servizio»
Dall’avvento dei social network, i conflitti internazionali si sono rivelati uno dei momenti in cui il potere comunicativo della Rete si è manifestato al meglio e forse è quanto in Italia occorrerebbe tener presente, proprio ora che al Senato è al vaglio la possibilità di una nuova limitazione a questo potere, che potrebbe ridurre la libertà di manifestazione del pensiero ad un vecchio ricordo…