In Italia, come in altri paesi, vi è una grande attenzione alla diffusione della concorrenza a vantaggio di un mercato più trasparente e chiaramente favorevole agli utenti. Con l’obiettivo di ridurre la “dipendenza” da un particolare fornitore, le Autorità agiscono cancellando tutti quegli elementi capestro che contribuiscono a legare clienti a fornitori. Abbiamo casi lampanti in ogni settore: l’eliminazione delle penali in caso di cambio di mutuo, l’ereditarietà della classe di rischio in caso di cambio assicurazione, ecc. Sono tutti interventi che di fatto riducono il danno derivato dal cambio di fornitore, ottenendo come risultato una maggiore apertura del mercato.
Nel mondo dell’informatica della Pubblica Amministrazione questa logica non trova terreno fertile, soprattutto per quanto riguarda i software per la gestione di funzioni istituzionali: servizi demografici, segreteria e atti amministrativi, contabilità e bilancio, ecc. Ogni fornitore organizza a suo modo la gestione del dato, il che genera una serie di spiacevoli conseguenze per chi vuole cambiare applicativo:
- il costo di migrazione della banca dati pregressa è una barriera all’ingresso non indifferente, spesso superiore al costo dell’applicativo stesso. Sovente il vecchio fornitore vince comunque la gara di nuova fornitura perché non deve affrontare questo costo;
- chiaramente i fornitori hanno imparato come migrare le banche dati della concorrenza, ma l’operazione non sempre va a buon fine e il rischio di perdere qualche informazione non è basso;
- chi non si sente di migrare la banca dati mantiene il vecchio applicativo in consultazione, spesso relegandolo sul vecchio server (anche migrarlo ad un nuovo server avrebbe il suo costo…), con costi di gestione forse non espliciti ma sicuramente non insignificanti e un alto rischio di perdere i dati e non poterli più recuperare (se non a fronte di forti emolumenti da corrispondere alla vecchia software house).
Qualcuno sostiene che questo fenomeno è inevitabile, a causa della complessità delle informazioni gestite e della difficoltà di elaborare degli standard di gestione delle banche dati a cui le software house dovrebbero adeguarsi. Ma è veramente così? In realtà no. In realtà è assolutamente vero che ci vorrebbero anni e cospicue risorse per elaborare una struttura dati standard per questi applicativi, ma è altrettanto vero che non è necessario. Questo perché non ci si deve fossilizzare sull’organizzazione dei dati, bensì ci si deve focalizzare sulle modalità di rappresentazione: le normative varie obbligano già a rappresentare questi dati secondo standard diffusi, che potrebbero essere utilizzati tranquillamente come “punto franco” per passare i dati da un’applicazione ad un’altra. Le informazioni sono rappresentate in un formato predisposto per l’interscambio trasparente tra applicazioni, attraverso l’utilizzo del formato XML.
La rappresentazione dei dati in formato XML consente di racchiudere all’interno di un file non solo i dati, ma anche le regole e le “etichette” (in gergo tecnico denominate “marcatori”) per rappresentarli. È più facile spiegarlo con un esempio: