Comunicare sembra davvero essere il mot de passe, la password, la chiave comunemente condivisa per leggere ed interpretare qualsiasi attività economica e sociale del tempo vissuto. Potremmo anzi spingerci ad evidenziare come alla comunicazione, nel suo senso più ampio, si sia assegnato il valore di attività economica in sé: comunicare è necessità per ogni aspetto di efficienza ed efficacia gestionale di qualsiasi organizzazione pubblica e privata, e, nello stesso tempo, comunicare diventa una necessità indotta anche oltre la sua essenza di strumento utile a perseguire fini ed obiettivi di una missione, traducendosi spesso in un esercizio di stile ed in una ulteriore occasione di spesa. Nell’uno e nell’altro caso non è difficile riconoscere la centralità delle strategie e degli strumenti di comunicazione in tutti i meccanismi di relazione sociale, commerciale ed industriale, e la Pubblica Amministrazione è assolutamente parte di questo universo, sia come soggetto attivo (quando risponde alle necessità effettive e strumentali della comunicazione) sia come soggetto passivo (quando rappresenta un importante spazio di mercato da conquistare e presidiare).
L’essere parte di questo universo non deriva da un paradigma regolamentare, quello sulla Comunicazione Pubblica e appunto dei suoi strumenti normativi, bensì (e più concretamente) in ragione del ruolo che la PA svolge nel nuovo contesto della Governance del territorio, non più soggetto isolato e per certi aspetti esterno alle relazioni sociali del territorio, ma sempre più spesso mediatore attivo di queste istanze di relazione. Oltre all’immediato rapporto con gli utenti (cittadini ed imprese) si pensi, ad esempio, al ruolo svolto (ma sarebbe più opportuno dire ancora da svolgere) dalla comunicazione pubblica per lo sviluppo locale, per la valorizzazione delle economie locali e per l’attrazione di investimenti anche nelle partnership pubblico-private: un insieme di valori non più e non solo di guida istituzionale, ma misurabili e, quindi, traducibili in termini economici. E nello stesso tempo, proprio perché la PA è oggi parte di un sistema di Governance relazionale, è anche aperta a ricevere pressioni e sollecitazioni come qualsiasi altro soggetto di una economia di mercato.
In altre parole, la regolamentazione delle attività di comunicazione pubblica ed istituzionale se da una parte ha contribuito a valorizzare la dimensione di servizio, di pubblica utilità, d’altra parte ha favorito ? anche attraverso il vincolo della obbligatorietà ? il dimensionamento delle azioni di comunicazione in termini di Commodity, quasi una necessità piuttosto che parte di una più complessa funzione strategica. Alla PA deve competere la costruzione di un codice di comunicazione istituzionale, mentre oggi, ancora, si limita a riflettere i paradigmi della comunicazione aziendale con inevitabili contraddizioni e sovrapposizioni. L’utilizzo di codici e stilemi aziendali da parte della PA non può che ingenerare confusione nell’utente che da tempo conosce quei codici e li aspetta da altre fonti (le imprese, appunto), li confronta nella propria esperienza quotidiana e spesso li giudica inadeguati, al paragone. Ed è assolutamente normale che avvenga, perché la comunicazione è a tutti gli effetti un driver di innovazione anche nelle attese degli utenti: proprio in virtù dei processi di globalizzazione, la valutazione della identità di una istituzione non risponde più a connotazioni di tipo storico (l’ipse dixit, diremmo per sovramercato) e pertanto la costruzione di una identità ? il fattore identitario della comunicazione ? non può essere accessorio o collaterale agli obiettivi della comunicazione nella PA, ma deve poterne rappresentare il fondamento. E deve rappresentare il fondamento dei propri obiettivi di comunicazione.