Nel 2007 l’open source nella Pubblica Amministrazione è divenuto una realtà sempre più concreta. In particolare, a compiere dei passi decisivi è stato il formato aperto ODF, meglio noto come Open Document.
Dal 2006 accettato come standard ISO e da allora adottato da numerosi governi, è considerato da molti il futuro standard europeo per la gestione documentale elettronica.
Secondo la ODF Alliance, l’ente ufficiale per la promozione e lo sviluppo di questo formato – che annovera tra i suoi membri anche società del calibro di IBM, Red Hat e Sun Microsystem – nel corso del 2007 sono stati ben 12 Paesi e 6 governi regionali ad adottare politiche pro-ODF.
Le applicazioni già introdotte e supportate sono 40, destinate a divenire presto circa 500, affiancando quindi in maniera sempre più massiccia l’ODf all’altro standard aperto per documenti elettronici, l’OOXML (Office Open XML) supportato da Microsoft.
«Considerato che abbiamo iniziato a supportare questo standard solo nel 2006, gli sviluppi registrati nel corso del 2007 sono stati davvero incredibili», ha sottolineato Marino Marcich, managing director dell’Alleanza.
«Una cosa è riconoscere la validità dell’ODF e considerarne l’introduzione in un’architettura d’impresa, un’altra è avviarne l’utilizzo vero e proprio».
I formati proprietari nella sfera pubblica stanno diventando fuori moda e, in generale, cominciano a essere considerati universalmente inaccettabili, secondo Marcich. E in effetti, come confermano gli indici di adozione, il braccio di ferro fra ODF e OOXML si sta facendo serrato, soprattutto per quanto concerne l’annoso problema dell’interoperabilità.
Quel che è certo è che ricorrere a formati aperti per la gestione documentale è una priorità per tutte le amministrazioni pubbliche, per garantire flessibilità e razionalizzazione della spesa, ma anche riusabilità e replicabilità, senza dimenticare la possibilità di personalizzare il software e renderlo più rispondente alle necessità dei singoli enti.