«Informarsi sul livello di adozione e sul valore dell’open source nel governo è molto difficile e richiede costi elevati».
Così il ministro di Sua Maestà, Gillian Merron, spiega il sostanziale disinteressamento del Governo britannico nei confronti del software distribuito con licenza pubblica che, in altre nazioni europee (tra cui l’Italia) sta riscuotendo sempre maggior successo.
L’abbattimento dei costi sembra non interessare particolarmente le istituzioni del Regno Unito, che dubitano proprio dell’effettiva utilità delle soluzioni open source. Per questo finora la linea strategica è stata quelle di lasciare la massima libertà di scelta a tutti gli enti, affinché adottino i prodotti più adatti alle loro specifiche esigenze, indipendentemente dalla licenza.
Eppure un recente caso che ha interessato le scuole britanniche rema in direzione opposta, con l’agenzia governativa preposta al controllo delle ICT nella PA che ha consigliato di sospendere momentaneamente l’acquisto di software targato Microsoft.
In generale, l’unica direttiva governativa riguarda i meccanismi di lock-in. Con un documento pubblicato nel 2004, infatti, tutti gli enti pubblici sono invitati a “considereare” anche le soluzioni open source e, categoricamente, ad evitare il lock-in, che li legherebbe a specifici produttori per lungo tempo.
Ma se i ministri dichiarano il proprio disinteresse nel misurare la diffusione dell’open source, i Liberari Democratici hanno effettuato autonomamente una ricerca che ha restituito risultati molto chiari. Nonostante le soluzioni open source rivestano un ruolo importante in strumenti strategici come Directgov (portale di riferimento per l’e-government britannico) e Jobcentre Plus (che aiuta le persone a trovare lavoro), i software liberi sono mosche bianche.
In quello che è il corrispettivo inglese del nostro Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i software open source sono del tutto assenti, mentre nel Ministero della Pubblica Istruzione nord irlandese raggiunge solo la quota dell’1%.