La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29062/17, ribadisce il principio secondo il quale chi usufruisce dei congedi retribuiti per assistere un familiare con grave disabilità, ai sensi della legge 104/1992 e del decreto legislativo 151/2001, ha diritto ad avere “spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita e di riposo“.
Congedo e assistenza
Sulla base di questo principio, i giudici supremi hanno dato ragione ad un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento impostogli dall’azienda dopo aver scoperto che, mentre era in congedo straordinario di due anni, stava con la madre disabile solo di notte mentre di giorno tornava a casa sua.
Ricorrendo ad un accertamento investigativo, l’azienda aveva infatti rilevato che, nel corso delle giornate, il lavoratore in congedo straordinario si era dedicato ad attività di proprio personale interesse e non risultava aver assistito la madre disabile, mentre di notte stava con la madre malata di Alzheimer ed insonne per evitare che scappasse di casa come aveva tentato di fare altre volte (questa la spiegazione fornita dal lavoratore).
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La legge, spiegano i giudici della Corte di Cassazione, non prevede orari per l’assistenza: basta essere presenti, non conta se di giorno o solo di notte. In particolare nella sentenza si legge:
“Non si può ritenere che l’assistenza che legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile”.“Pur risultando materialmente accaduto che si trovasse in talune giornate del giugno 2013 lontano dall’abitazione della madre ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato – la violazione del dovere di fedeltà e correttezza – perché una volta accertato che, ferma la convivenza, il lavoratore comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell’intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta”.
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Diritto alla reintegra
La Cassazione ha quindi avvalorata il diritto del lavoratore a riavere il posto di lavoro dal momento che non ha commesso alcun illecito disciplinare.
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