Uber soggetto a regole Trasporti

di Barbara Weisz

21 Dicembre 2017 14:57

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Sentenza UE sulla piattaforma Uber: non un servizio di commercio elettronico ma di trasporti, valgono le leggi ad hoc dei paesi membri, in Italia ci vuole la licenza.

Sharing Economy

Uber non è una app o una piattaforma di e-commerce ma un servizio di trasporti vero e proprio e come tale risponde alle norme dei diversi Stati UE per lo specifico settore: è la conclusione a cui sono arrivati i magistrati della Corte di Giustizia Europea. Una sentenza importante (la C-434/15 ), perché stabilisce nuovi parametri normativi in materia di concorrenza, consentendo ai singoli Governi di assimilare l’attività di Uber a quella dei taxi, con tutte le conseguenze che questo comporta sul fronte delle licenze e dei requisiti di sicurezza per l’attività.

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Un servizio di intermediazione, si legge nella sentenza, che mette in contatto:

«un conducente non professionista che utilizza il proprio veicolo e una persona che intende effettuare uno spostamento in area urbana costituisce, in linea di principio, un servizio distinto dal servizio di trasporto che consiste nell’atto fisico di trasferimento di persone o di beni da un luogo a un altro tramite un veicolo».

Più precisamente:

«un servizio d’intermediazione che consente la trasmissione, mediante un’applicazione per smartphone, delle informazioni relative alla prenotazione di un servizio di trasporto tra il passeggero e il conducente non professionista che, usando il proprio veicolo, effettuerà il trasporto soddisfa, in linea di principio, i criteri per essere qualificato come servizio della società dell’informazione», ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34.

Mentre invece:

«un servizio di trasporto non collettivo in area urbana, quale un servizio di taxi, deve essere qualificato come servizio nel settore dei trasporti».

In quale delle due fattispecie ricade Uber?

Secondo i magistrati comunitari:

«non è soltanto un servizio d’intermediazione che consiste nel mettere in contatto, mediante un’applicazione per smartphone, un conducente non professionista che utilizza il proprio veicolo e una persona che intende effettuare uno spostamento in area urbana».

Di fatto, il servizio d’intermediazione  Uber si basa sulla selezione di conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo ai quali tale società fornisce un’applicazione senza la quale, da un lato, tali conducenti non sarebbero indotti a fornire servizi di trasporto e, dall’altro, le persone che intendono effettuare uno spostamento nell’aerea urbana non ricorrerebbero ai servizi di tali conducenti.

Inoltre, Uber esercita un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione, ad esempio fissando il prezzo massimo della corsa, ricevendo il pagamento dal cliente prima di versarne una parte al conducente, esercitando un controllo sulla qualità dei veicoli e dei loro conducenti e sul comportamento di quest’ultimi, che può portare anche alla loro esclusione.

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Conclusione: il servizio di Uber «deve essere considerato parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto e, di conseguenza, rispondente non alla qualificazione di «servizio della società dell’informazione», ma di «servizio nel settore dei trasporti».

La conseguenza è che il servizio di Uber non ricade sotto le normative comunitarie relative alla società dell’informazione e non rientra nell’ambito dell’articolo 56 TFUE sulla libera prestazione dei servizi in generale, ma dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, in base alla quale la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti.

E’ quindi compito degli Stati membri disciplinare le condizioni di prestazione dei servizi d’intermediazione come quello di Uber.

La sentenza, come si vede, riguarda in realtà una specifica applicazione di Uber, che riguarda appunto il servizio di autisti non professionisti, attivo in un numero limitato di paesi europei ( e non il servizio principale, che si avvale di autisti professionali (come quello che si utilizza in Italia). Ma rappresenta un precedente giurisprudenziale importante, che come si può facilmente intuire è applicabile anche ad altre realtà della sharing economy.

La reazione del colosso californiano:

«questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi dell’Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti. Tuttavia, milioni di cittadini europei ancora non possono utilizzare app come la nostra. È arrivato il momento di regolamentare servizi come Uber, come anche il nostro Ceo afferma, ed è per questo che continueremo il dialogo con le città di tutta Europa, con l’obiettivo di garantire a tutti un servizio affidabile a portata di clic».

Corte di Giustizia UE