Con il termine demansionamento si intende l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza o il non assegnare alcuna mansione.
In caso di demansionamento, il lavoratore è legittimato a rifiutarsi di lavorare ma, se si presenta in azienda con un atteggiamento tutt’altro che positivo, con comportamenti arbitrari e autonomamente illegittimi, il datore può licenziarlo legittimamente per giustificato motivo.
Come reagire al demansionamento
A chiarire le modalità di contestazione del demansionamento da parte del lavoratore e la legittimità del licenziamento da parte del datore di lavoro in caso di rifiuto è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1912/2017.
Nel caso in esame il lavoratore che aveva presentato ricorso contro il licenziamento per giusta causa intimato dal datore di lavoro in seguito al rifiuto reiterato del dipendente a svolgere l’attività lavorativa, accompagnato da comportamenti sprezzanti e minacciosi. La Corte di Cassazione chiarisce che tale atteggiamento rende legittimo il licenziamento.
In caso di demansionamento, dunque, il lavoratore che ritenga illegittima l’assegnazione dal datore di lavoro ad una mansione inferiore rispetto a quella contrattualmente prevista, può rifiutarsi di svolgere l’attività lavorativa a condizione però che tale comportamento sia connotato da caratteri di positività, risultando proporzionato e conforme a buona fede.
Il lavoratore deve quindi, come è suo diritto (art. 2103 cc), astenersi dall’eseguire le direttive del datore di lavoro eccependo così l’inadempimento del datore di lavoro.
Per legge, infatti, il datore di lavoro non può adibire il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto ma, solo a mansioni equivalenti o superiori a determinate condizioni, tranne in alcuni casi specifici espressamente previsti dal Jobs Act.
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Se invece il lavoratore si presenta in azienda, rinuncia automaticamente alla “eccezione di inadempimento” nei confronti del datore e rimane pertanto obbligato ad eseguire la prestazione assegnata secondo correttezza e buona fede, cadendo i presupposti per un legittimo rifiuto alla prestazione lavorativa e legittimando, in caso di comportamento inadeguato del lavoratore, anche l’estrema sanzione del licenziamento.