Le imprese di dimensione piccola o media sono, in genere, ritenute molto flessibili, ovvero più agili e veloci rispetto alle grandi imprese nell’adattarsi alle esigenze del mercato, ma allo stesso tempo la loro dimensione (economica e funzionale) ha come altra faccia della medaglia la necessità di fare i conti con risorse limitate che, spesso, non permettono di studiare e avviare specifici progetti di cambiamento.
Alcuni momenti nella vita di un’impresa presentano criticità in cui i limiti strutturali, in termini di risorse manageriali e di competenze, sono da ostacolo allo sviluppo.
Un momento particolarmente critico nello sviluppo delle PMI è quello della gestione delle fasi di crescita. Il motto del “piccolo è bello”, che caratterizza il tessuto imprenditoriale italiano, sembra stia andando in crisi, alla luce delle oggettive difficoltà di molte PMI, in modo particolare in settori particolarmente esposti alla globalizzazione e alla concorrenza internazionale, non solo a crescere, ma addirittura a sopravvivere. In questo contesto, una scarsa capacità gestionale rischia di diventare un ulteriore freno.
La crescita di un’azienda richiede capacità manageriali di alto profilo o specifiche che non sempre fanno parte del know-how aziendale e che spesso non è possibile acquisire dall’esterno attraverso l’assunzione di un manager o lo sviluppo del know-how interno.
Un’altra problematica è legata alla gestione di tipo “familiare” delle imprese. In questo caso gli aspetti che da sottolineare sono due: il gestire l’azienda con “gelosia”, e le criticità legate al ricambio generazionale.
Nel primo caso ci riferiamo a quelle realtà, particolarmente chiuse verso l’esterno, che vivono con diffidenza la presenza di persone nuove nella stanza dei bottoni, situazione questa che non consente un opportuno scambio culturale e limita le opportunità di crescita per l’impresa.
Nel secondo caso, invece, facciamo riferimento a quelle PMI, dove sono presenti l’imprenditore stesso e, in varia misura, altri familiari cui sarà poi passato lo scettro del comando, anche in questo caso è oggettivamente difficile che sulle scelte strategiche e sulla gestione generale si accettino deleghe, e la cosa diventa ancora più critica quando la direzione aziendale passa a persone che non sono cresciute con l’azienda e che potrebbero non avere la “sensibilità” necessaria per gestire un mondo così complesso e variegato.
Possiamo poi considerare le realtà che vivono momenti di crisi legati a cattiva gestione, a congiunture sfavorevoli, o che comunque sono in difficoltà dal punto di vista finanziario o produttivo.
Come può un’azienda reagire a forti mutamenti, come può riorganizzarsi per affrontare un periodo di cambiamento o di crisi?
Spesso il presupposto è un problema di capacità, competenze, know-how e strategie che, per essere affrontato nel modo giusto, richiede di fare ricorso ad una nuova modalità di gestione, e necessita di una managerialità in grado di agire in modo rapido ed efficace al fine di introdurre stabilmente in azienda le nuove risorse richieste.
Il mercato dei manager a tempo è tuttora in fase di crescita e assestamento, in Europa esistono realtà imprenditoriali come quelle francese, tedesca e soprattutto olandese e inglese dove questi professionisti sono ormai una presenza consolidata.
Dati relativi al 2005, dicono che in Italia vi sono 450 manager a tempo contro i 2500 olandesi ed i 5000 inglesi. Questa forbice è dovuta ad una maggiore sensibilità del mercato imprenditoriale verso questa figura, come sottolineato dal fatto che in Olanda esistano corsi di studio specialistici per formare i professionisti del temporary management, ed in Inghilterra esistono ben 50 società che si occupano di management a contratto, mentre quelle italiane si contano sulle dita di una mano.
In Italia, la richiesta di professionisti del management temporaneo è cresciuta con il passare degli anni. Nella prima metà degli anni 90 i manager a contratto erano contattati soprattutto per fronteggiare periodi di crisi, oggi si ricorre a questo tipo di soluzione per gestire, prevalentemente, il processo di modernizzazione o il passaggio generazionale nella gestione dell’impresa.
Uno spaccato della realtà italiana viene offerto da una ricerca (di Cofimp) sul tessuto imprenditoriale bolognese. Dalla ricerca, effettuata su un campione di 100 imprese, emerge che le imprese maggiormente disposte a ricorrere a management temporaneo sono quelle che affrontano un processo di riorganizzazione dopo una fase di crescita rapida, e che conservano ancora un buon potenziale di sviluppo. Un atteggiamento di diffidenza, invece, si ha da parte delle imprese a controllo familiare.
Il management temporaneo, quindi, è uno strumento che si offre come alternativa dinamica, e a costi certi, ai consueti canoni di gestione aziendale. Non sempre è utile affidarsi a questo strumento, come sottolinea Maurizio Quarta (si occupa da molto tempo e a vario titolo di temporary management con pubblicazioni cartacee e online, oggi Managing Partner di TM&C – Temporary Management & Capital Advisors) «In situazioni di grave crisi un intervento di temporary in una data area avrebbe ben poche speranze di successo: è necessario un intervento più radicale».