Il proprietario di una seconda casa ubicata in altro Comune, diverso da quello dell’abitazione principale, non intende pagare più le imposte che gravano sulla seconda casa (IMU, TASI, TARI, etc..) per l’esosità delle medesime: il pignoramento di tale abitazione cui consegue l’espropriazione e la vendita forzata, si può estendere all’abitazione principale e residenza familiare o rimane circoscritto alla seconda casa?
In caso di pignoramento immobiliare esistono alcune regole che vincolano l’azione dell’ente di riscossione, tra questi è vietato il pignoramento sulla prima casa, a patto che si tratti dell’unica casa del debitore.
In sostanza perché valga il principio della impignorabilità della prima casa è necessario che il debitore non sia in possesso di alcun altro immobile, indipendentemente dall’uso, dalla destinazione e dall’accatastamento.
Se si possiede anche una minima quota di un altro immobile, la “prima casa” diventa pignorabile. Questo significa che nel caso in esame, il possesso di un secondo immobile, rende pignorabile tanto la prima casa quanto l’altra.
=> Pignoramento immobile: i vincoli caso per caso
Per completezza ricordiamo che in merito al DLgs 158/2015, è stato riformato il sistema sanzionatorio penale e amministrativo. Ai fini del ravvedimento operoso IMU, TASI e TARI, il decreto ha previsto (articolo 15, comma 1, lettera o) la riscrittura dell’Art. 13 del DLgs 471/1997, che stabilisce la sanzione da applicare per omessi o parziali versamenti in misura pari al 30% con riduzione a metà per versamenti effettuati nei primi 90 giorni dopo la scadenza afferma che:
“1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.”
Il creditore quindi, prima si deve rivolgere al Giudice competente, firmare il decreto ingiuntivo e far notificare il cosiddetto atto di precetto (è una comunicazione ufficiale di preavviso di esecuzione immobiliare, nel quale si avvisa a pagare quanto dovuto e le modalità per farlo così da interrompere la procedura espropriativa) presso il domicilio del debitore, con il quale lo intima di saldare il debito entro 10 giorni. Se il debitore, dopo aver ricevuto l’atto di precetto continua a non pagare, dopo 45 giorni il creditore può richiedere il pignoramento dei beni immobili posseduti dal debitore per la somma che serve a coprire il debito, con la vendita all’asta del bene immobile.
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Chiedi all'espertoRisposta di Anna Fabi