Secondo la classifica annuale Index of Economic Freedom elaborata da Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, l’Italia, valutata in termini di libertà economica, è al 60° posto su 157 Paesi presi in considerazione. Il nostro Paese ha ottenuto lo stesso punteggio dell’Uganda (63.4%), collocandosi sotto Belize, Kuwait e Slovenia e superando di poco la Bulgaria, l’Albania e la Romania.
La classifica misura dieci specifici fattori legati alla libertà di mercato, d’impresa, fiscale, dal Governo, dal sistema monetario, dagli investimenti, dalla finanza, dalla proprietà, dalla corruzione e dal lavoro.
Ai primi posti i protagonisti delle economie emergenti, Hong Kong (89.3%), Singapore e Australia. Per l’Europa la Gran Bretagna risulta essere la migliore, al sesto posto con un punteggio non molto inferiore alla prima posizione (81.6%) seguita da Irlanda al settimo posto e Germania al diciannovesimo.
Per quel che riguarda la libertà economica in Italia, che si esprime nella libera scelta della professione e nel libero accesso a un’attività economica, i peggiori risultati riguardano il mercato del lavoro troppo rigido, la libertà fiscale per le aliquote troppe alte, la tutela dei diritti di proprietà e la libertà dello Stato.
Secondo Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Leoni (che ha fornito la sua collaborazione alla ricerca per l’Italia), afferma che «L’Italia scivola perchè il resto del mondo sa far crescere la propria prosperità». Luca di Montezemolo, presidente di Confindustria, con un occhio critico alla classifica è dell’idea che l’imbarazzante posizione del nostro Paese «È il frutto di troppi anni di non scelte, non è l’ultimo mese o gli ultimi cinque anni […]. Bisogna avere di nuovo voglia di raccogliere le sfide. La passione c’è, cova sotto la cenere». Ed indica la strada dell’apertura alla concorenza e alla competitività.
I dati forniti dalla ricerca non sono però incoraggianti: lo scorso anno la nostra penisola si collocava al 42° posto e anche gli anni precedenti non avevano fornito risultati migliori. È necessario quindi trasformare i buoni propositi in fatti concreti.