Fra i provvedimenti della manovra correttiva approvata dal Governo per andare incontro alle richieste UE c’è lo split payment IVA. La misura tocca in primis i professionisti che fatturano alla PA ai quali viene esteso il meccanismo di inversione contabile e scissione dei pagamenti: le pubbliche amministrazioni versano l’imposta direttamente al Fisco. Quindi,i professionisti indicheranno l’IVA in fattura ma non la incasseranno.
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Le nuove regole si applicano alle fatture emesse da luglio 2017 e, oltre alle Partite IVA (prima riguardava solo le imprese), c’è l’estensione dell’inversione contabile anche alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni. Il meccanismo (articolo 17-ter, comma 2, Dpr 673/1972) è già applicato dal 2015 agli scambi tra PA e imprese.
La misura, come era facile prevedere, non piace ai diretti interessati. Immediate le critiche dei commercialisti: il presidente del Cndcec (consiglio nazionale dottori commercialisti ed esperti contabili) Massimo Miani, rileva che nel 2015
«i professionisti furono esclusi dalla sua applicazione, essendo già soggetti a ritenuta all’atto dell’incasso delle fatture. Non vi sono quindi motivi per non confermare detta esclusione anche ora che lo split viene esteso alle operazioni nei confronti delle società pubbliche e delle quotate. Anche il professionista che opera nei confronti di questi ultimi soggetti, infatti, subisce la ritenuta, per cui il mancato incasso dell’IVA finisce per duplicare il prelievo sulla medesima fattura».
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Il decreto (di cui ancora non si conosce il testo, ci sono solo le informazioni fornite al termine del CdM del 12 aprile), prevede anche l’estensione dello split payment alle società controllate e alle quotate della PA. Nel dettaglio, si legge nel comunicato del Governo, lo split payment è esteso a
«tutte le amministrazioni, gli enti ed i soggetti inclusi nel conto consolidato della Pubblica Amministrazione, le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, di diritto o di fatto, le società controllate di diritto direttamente dagli enti pubblici territoriali, le società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana».
Attenzione: una società è controllata quando c’è una partecipazione pari almeno alla maggioranza dei voti in assemblea. Quindi, lo split payment si applica alle società di cui l’ente pubblico possiede almeno la maggioranza dei voti, non a tutte le partecipate. La legge, però, include anche le società a partecipazione pubblica quotate sul listino delle blue chips di Borsa Italiana (il cui indice è il Ftse Mib), come Eni, Enel, Poste Italiane, A2A, Snam. Bisognerà capire (quando sarà disponibile il testo del decreto o successivi provvedimenti attuativi) se questo comprende anche le controllate da queste ultime (ad esempio Saipem, partecipata da Eni).
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Lo split payment è una misura anti-evasione: l’IVA viene versata direttamente al Fisco, quindi non è possibile evaderla. Finora ha dato buoni risultati, consentendo di recuperare 2,5 miliardi nel 2015 e 1 miliardo nel 2016. Autorizzato dall’Europa (in deroga alle direttive comunitarie sull’IVA) fino al 31 dicembre 2017, il Ministero dell’Economia ha chiesto a Bruxelles una proroga fino al 2020.